mercoledì 30 aprile 2008

Auguri di Buona Festa

30-04-2008 un caro augurio di buona festa, da Bruno Castellino.
San Giuseppe Benedetto Cottolengo è il fondatore dell'opera da lui denominata Piccola Casa della Divina Provvidenza che, dopo la sua morte, è popolarmente detta "Cottolengo".
Alcuni anni dopo la sua ordinazione sacerdotale, è impressionato dalle condizioni di povertà degli uomini del suo tempo. Ispirato da Dio e animato da spirito evangelico, in poco tempo Giuseppe Cottolengo dà vita a molteplici iniziative a favore degli uomini più bisognosi mostrando un grande spirito di accoglienza e di fiducioso abbandono a Dio, fino a spendere tutta la propria esistenza per la causa dei poveri.
Il contesto storico
Il Cottolengo ha attraversato una fase caratterizzata da grandi e innovativi fermenti culturali sia sul piano politico, sia su quello religioso. Influenzato delle idee dell'illuminismo il periodo si rivelò movimentato per tutta l'Italia, soprattutto per il Piemonte, patria natale del Santo e della sua opera. Vi erano tensioni tra le classi sociali, e la crisi investiva il piano sociale ed economico, con serie ripercussioni sulla qualità della vita. L'illuminismo influenzò inoltre il tradizionale pensiero della Chiesa, nella quale vennero a crearsi non poche tensioni.
La povertà
Al tempo del Cottolengo la povertà era molto diffusa in Piemonte e in particolare a Torino, che attirava dalla campagna i miserabili in cerca di una vita più dignitosa. Le molte opere di beneficenza presenti sul territorio a favore dei diseredati non erano sufficienti a sanare il dramma della povertà, che era una delle priorità della città di Torino. L'Opera del Cottolengo cercò di dare risposta a questa situazione accogliendo tutte le persone in difficoltà, privilegiando in particolare quelle che non venivano accolte dagli altri enti.
La vita
San Giuseppe Benedetto Cottolengo è il fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza. Nasce il 3 maggio 1786 a Bra, una cittadina della provincia di Cuneo, in una famiglia medio borghese con salde radici cristiane. È primogenito di 12 figli, di cui 6 muoiono in tenera età. Fin dalla sua fanciullezza aveva mostrato grande sensibilità verso i poveri. Sceglie la via del sacerdozio, seguito anche da due fratelli. Gli anni della sua giovinezza sono attraversati dall'avventura napoleonica e dai conseguenti disagi in campo religioso e sociale. Compiuti gli studi filosofici e teologici, Giuseppe Benedetto Cottolengo viene ordinato sacerdote l'8 giugno 1811. È viceparroco a Corneliano d'Alba, successivamente riprende gli studi e si trasferisce a Torino, dove nel 1816 si laurea in teologia presso la Regia Università. Due anni dopo viene nominato canonico e aggregato al gruppo di sacerdoti teologi addetti alla chiesa del Corpus Domini di Torino. Trascorre serenamente quel periodo e si distingue per il suo impegno nel predicare, nel confessare e nella dedizione ai poveri. Gli anni tra il 1822 e il 1827 sono caratterizzati da una crescente sensibilità spirituale, che assume l'impronta di un deciso distacco dagli interessi materiali accompagnato da una tensione per la ricerca di un nuovo modo di vivere la sua vocazione sacerdotale. Giuseppe Benedetto Cottolengo ha 41 anni quando si apre a una nuova e definitiva conversione. Il 2 settembre 1827, infatti, viene chiamato per amministrare i sacramenti a una donna in fin di vita, respinta dagli ospedali della città. In quel tragico episodio, riesce a percepire con più chiarezza i disegni di Dio per la sua vita. Per evitare il ripetersi di simili tragedie umane, animato da divina ispirazione, decide di impegnarsi a soccorrere e assistere le persone abbandonate. È il 17 gennaio 1828 quando prende in affitto alcune stanze non lontano dalla chiesa del Corpus Domini. Qui, grazie alla generosa disponibilità di alcune signore, in particolare della Signora Marianna Nasi Pullino - considerata cofondatrice dell'opera - e di volontari, ha inizio la sua opera. Anche se sprovvisto di fondi e di rendite Giuseppe Cottolengo continua ad accogliere persone in stato di grave bisogno o abbandonate. Questa condizione di povertà di mezzi lo fa sentire pienamente libero di confidare in Dio ed essere aiutato dalla sua Provvidenza. La prima struttura di accoglienza di malati in stato di abbandono incontra una serie di contrasti che ne segnano presto la fine. Tuttavia, sorretto dalla fede nell'azione di Dio, il Cottolengo viene ispirato ad aprire, nel 1832, una nuova casa nel quartiere torinese Valdocco (dove attualmente trova ancora la sua collocazione), e che denomina Piccola Casa della Divina Provvidenza. Aumenta il numero dei ricoverati e Giuseppe Cottolengo pone alcune famiglie religiose al loro servizio: le Suore Vincenzine, i Fratelli di San Vincenzo e i Sacerdoti della Santissima Trinità. Dà vita a cinque monasteri di clausura, di cui uno maschile, e apre un seminario per la formazione dei giovani al sacerdozio. Cottolengo, pur attraversando nella sua vita momenti drammatici, ha sempre mantenuto serena fiducia di fronte agli eventi: attento a cogliere il ruolo della paternità divina, riconosce in tutte le situazioni la presenza e la misericordia di Dio e, nei poveri, l'immagine più amabile della sua grandezza. Si ammala di tifo e capisce che i suo giorni sono contati. Si distacca allora volontariamente dalle opere che aveva compiuto per Dio e conclude il suo cammino di fede e di vita nella casa di suo fratello Luigi a Chieri, in provincia di Torino. Qui muore santamente il 30 aprile 1842. Dopo il riconoscimento dell'eroicità delle sue virtù, il Papa Benedetto XV riconosce l'eroicità di Giuseppe Benedetto Cottolengo e lo dichiara Beato il 29 aprile 1917. Il 19 marzo 1934 Papa Pio XI ne decreta la santità. Il rapporto con i poveri Per mantenere in vita l'opera iniziata, Giuseppe Cottolengo vive tra difficoltà e ostacoli ma non dimentica mai di trattare i poveri con grande rispetto e stima, rivelando speciale affetto per i più indifesi. In tutti i modi possibili al suo tempo, opera per tutelare la loro dignità di essere umani. Con tratti profondamente paterni, con loro si mostra gioioso, pieno di iniziative, rispettoso della loro personalità e dei loro gusti.
Messa propria per la solennità del 30 aprile

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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