mercoledì 16 aprile 2008

Riflessioni sull'Africa

Parecchi giorni sono ormai passati dal mio rientro in Italia, dopo aver trascorso 3 indimenticabili settimane in quel piccolo angolo di mondo immerso nel verde.. così lontano dal nostro immaginabile. L’esperienza vissuta a Chaaria è stata così grande ed intensa, che non è facile sintetizzarla in poche righe. Le emozioni provate sono state tante.... cercherò di esprimere quelle più significative. Sebbene, a fatica, sia ritornata alla mia solita vita, mi è praticamente impossibile ignorare il ricordo dell’Africa lontana. Ogni luogo scoperto, ogni persona incontrata è riuscita ad entrare così profondamente nel mio cuore da lasciarmi dentro un incancellabile segno, una forza che mi permette di vedere la realtà presente sotto una nuova luce. La luce dell’Amore e del Volersi Bene. Fuori dal tempo e dallo spazio, nel posto più vicino all’anima dell’uomo, tra lacrime e sorrisi, sconfitte e conquiste, ogni giorno è stato unico. Laggiù, più che mai, ho avuto modo di mettermi alla pari del povero, sperimentando l’importanza del donarsi, per la sola e semplice volontà di farlo!... e solo chi ha “sperimentato” e vissuto esperienze simili, può affermare quanto questo sia arricchente! Rivestendo il ruolo di studente infermiera mi sono inserita, pian piano, nello “sconvolgente” mondo ospedaliero di Chaaria. E sì, devo proprio ammettere che anche questo è stato un impatto alquanto “traumatizzante”... sentire, ovunque, le grida dei bambini, portati in spalla dalle loro madri, dopo giorni di cammino. La maggior parte di essi deve lottare contro la malaria: è straordinario vedere come una trasfusione rappresenti l’arma vincente! A volte è stato davvero difficile accettare e condividere le modalità operative del personale locale: per noi può essere incomprensibile l’ipotesi di collocare tre pazienti nello stesso letto, di utilizzare lo stesso deflussore per tre giorni!.. .ma grazie ad un buon spirito di adattamento (il quale ritengo fondamentale!) ed alla capacità di andare oltre i nostri preconcetti, alla fine si riescono a superare anche queste difficoltà! Alquanto impressionante è notare il rapporto che quella gente ha verso i morti... come potrei mai dimenticare il giorno in cui abbiamo dovuto vestire una donna passata, ormai, all’altra vita. Noi studenti eravamo gli unici che osavamo avvicinarci e toccare quel corpo inanimato. Chi possedeva le forze abbandonava il proprio letto per dirigersi all’esterno della stanza; le rimanenti pazienti, invece, si coprivano dalla testa ai piedi, con le coperte che avevano a disposizione. In Africa un cadavere rappresenta l’impurità, per questo è meglio starne lontani. Venti giorni non sono molti, ma si sono rivelati sufficienti per farmi comprendere l’importanza del vivere e di toccare con mano la realtà africana. Non basta venirne a contatto unicamente attraverso riviste… attraverso la televisione... per conoscere pienamente l’Africa, penso sia necessario vederla con i propri occhi! Solo così ci si rende veramente conto dell’immenso disagio che la caratterizza. E, nello stesso tempo, solo in questo modo possiamo realmente comprendere le fortune che, fin dalla nascita, possediamo in questa agiata vita.La fortuna di avere un padre ed una madre… la fortuna di avere una casa accogliente, con acqua, luce, gas... la fortuna di avere una macchina... di possedere dei vestiti integri e puliti... la fortuna di avere un’istruzione, la sola possibilità di studiare. E’ sconvolgente pensare a come, prima di partire, sottovalutassi l’importanza di tutto questo. Eppure basterebbero almeno queste “elementari” fortune a rendere un po’ più “dignitosa” la vita di un bimbo africano! Mi è bastato un incontro con gli street-boys... le lacrime di una mamma che piangeva il suo bambino ucciso dalla malaria... gli innocenti sguardi di tanti bambini con il destino segnato dall’AIDS... la miseria che si manifesta così violentemente in ogni angolo di strada che si percorre, per capire l’assurdità di tante nostre preoccupazioni, di tanti nostri problemi, il più delle volte nati da un mondo dominato dal Benessere. E’ stato veramente scioccante, per me, passare dal “tutto” al “nulla”… da una realtà che, senza rendercene conto, ci offre ogni cosa, ad un’altra sovrastata unicamente dalla povertà più assoluta. Ma è stato anche bello scoprire la felicità e la gioia data dalle piccole cose, da un semplice abbraccio, da un sorriso... dal Bene che ci si può scambiare l’un l’altro, senza alcun prezzo! I bambini a cui è stata strappata la vita sono diversi. In ospedale è impressionante osservare la rapidità con cui si apre il cerchio della vita e la stessa rapidità con cui si conclude. Ricordo con coraggio la prima sera in cui siamo andati a seppellirne due di loro... ciò che ho provato in quel momento va al di là di ogni parola... voglio solo aggiungere e qui concludere che è stato bello affidare al Signore quelle piccole creature e presentarle come angioletti che vegliano sulla vita che continua...


Barbara



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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