sabato 12 aprile 2008

L'Huruma Center

Chi sono gli street boys
Il fenomeno degli street boys ha assunto delle proporzioni enormi negli ultimi anni. Si tratta di ragazzi dall’età molto disparata (mediamente dai 6 ai 16 anni), per lo più orfani o rigettati dalla famiglia, i quali popolano le strade delle città più grandi e tentano di sopravvivere tramite la questua o la piccola malavita. Non hanno posto dove dormire, né hanno fonti sicure di cibo: è quindi una scena costante osservare gruppi di ragazzi sporchissimi che sonnecchiano ai bordi della strada, sniffando colla per non sentire i crampi della fame, e che accorrono attorno all’automobile per chiedere qualche spicciolo o un po’ di cibo. Purtroppo, più diventano grandi e più si trasformano in veri delinquenti, che ti assalgono armati di una siringa sporca o di una manciata di feci: è sempre più frequente la notizia di automobilisti la cui vettura è stata riempita di escrementi, per aver rifiutato di dare denaro a questi piccoli ladruncoli; anche si sente di gente uccisa a bastonate o contaminata con una siringa, per la stessa ragione. Il fenomeno dei ragazzi di strada ha all’origine molti problemi culturali e sociali; tra tutti però mi pare che il più importante sia la terribile diffusione dell’AIDS, che falcidia la popolazione adulta, creando un numero sempre più elevato di orfani a cui nessuno pensa. Questi, crescendo in strada, continueranno a vivere sessualmente molto promiscui, cooperando così all’ulteriore diffusione dell’infezione. Attualmente il termine street boys è poco corretto, in quanto è sempre più frequente vedere anche bambine e ragazze che sniffano colla e si uniscono ai gruppi di giovani mendicanti che vagano notte e giorno lungo le strade. Anche questo fatto porterà nuovi problemi alla società (stupro, gravidanze non volute, aborti illegali con aumento di mortalità materna, abbandono di neonati appena partoriti, ecc). Pochi sono i centri che si occupano del recupero e della promozione umana di questi giovani allo sbaraglio, che rappresentano una delle maggiori problematiche per la sicurezza sociale della Nazione. La Diocesi di Meru ha in effetti una casa di accoglienza che però, trovandosi oltre Tigania, è molto lontana da Chaaria ed assolutamente insufficiente a fronteggiare le dimensioni del fenomeno.

Alcune notizie sul centro da noi sponsorizzato

Il nome di questa piccola istituzione è “HURUMA CENTRE”, che in lingua Kiswahili significa "Centro della misericordia". Si trova a circa 10 km da Chaaria. Attualmente il Centro sopravvive grazie ai nostri aiuti economici, al costante contributo economico di Mariano De Mattia con il suo progetto Afrikalba, e ai fondi offerti da un’associazione parrocchiale veneta che fa capo ad un volontario permanente della parrocchia di Mujwa, di nome Daniele Schiavinato. Il Centro per il passato era costituito da tre baracche in legno, con il tetto in lamiera, prive di pavimento e di mobili, e dotate solo di rudimentali letti a castello senza materassi. Piano piano le condizioni di vita di questi ragazzi sono migliorate, grazie sia ai nostri aiuti economici, sia al grande impegno di Daniele, che sta effettivamente diventando il direttore della casa in associazione con Joseph Muthaura, il fondatore del Centro. Come vedete dalle foto ora è quasi tutto in muratura, i bambini sono puliti e vanno tutti a scuola. Per alcuni di loro abbiamo già trovato un lavoro; Attualmente i bambini sono più di 60. E’ un centro misto, per ragazi e ragazze. Al ritorno da scuola, la sera, tutti aiutano nelle faccende di casa: pulizia, coltivazione della terra, raccolta dell’acqua al fiume, mungitura dell’unica mucca. Il Cottolengo offre a tutti loro cure sanitarie gratuite. Spero che le foto rendano testimonianza di quanto le vostre generose offerte hanno operato nel corso degli anni.
Fr Beppe Gaido
Huruma Centre:
come era nel 2006......
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...E l' Huruma Centre come è oggi...
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Le ricevute della scuola di sei bimbi:
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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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