giovedì 22 maggio 2008

I pensieri a caldo di un volontario

Faccio ancora molta fatica a dire che cosa ho provato con esattezza: il messaggio che devo decifrare è troppo forte e potente per essere recepito in tempo reale. La confusione la fa ancora da padrona nei miei pensieri!
L'inizio è duro in missione. Lo è stato per me, ma lo è stato anche per tutti gli altri volontari. Non tanto per la paura delle zanzare, quanto per la sofferenza che costantemente hai sotto gli occhi; una sofferenza che a Chaaria prende il volto soprattutto dell'AIDS e della malaria. Quanti bambini muoiono ogni giorno in Africa...

Mi ero portato la Bibbia che leggevo nel tempo libero e la cui lettura ha contribuito a mandarmi in crisi in alcuni passaggi. Inizialmente il Libro della Genesi, quando Dio rivolgendosi a Noè lo ammonisce dicendo: " Domanderò conto della vita dell'uomo, all'uomo; a ciascuno di suo fratello" .
Poi mi sono detto: va bene, ma quello era il Dio dell'Antico Testamento.
Poi c’è stato Gesù ed è stato scritto il vangelo; è a questo che dobbiamo ispirarci. Ma il Vangelo di Luca continua a parlare chiaro in proposito: "a chi molto è stato dato, molto sarà chiesto"... Vi assicuro che vedere i bambini scalzi con le pulci penetranti nei piedi e pensare ai miei scarponi da sci da 300 Euro mi crea imbarazzo e vergogna. A certe domande penso che non troverò mai risposta...
Ma la missione ti regala anche momenti di gioia immensa. Che bello donarsi completamente agli altri!!! Che bello contribuire a far sorridere i ragazzi handicappati ai quali prestavo servizio!! Ero più buono e più in pace con me stesso.
Pulivo i pavimenti e tagliavo il cotone nello “store” dell'ospedale con una serenità, che a casa non riesco a provare.
Era bello sentirsi parte attiva di una "causa" così nobile!!
Adesso, però, viene il difficile: continuare ad essere più buono e sereno anche a casa, tra i problemi quotidiani di sempre.

Francesco

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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