giovedì 5 marzo 2009

Il Nido, le incubatrici...i neonati


Le incubatrici sono affollatissime: pretermini, neonati di donne cesarizzate, piccoli affetti da malaria congenita.

Ne abbiamo solo tre di incubatrici... ed oggi abbiamo il pienone: tre bimbi per culla, separati a malapena da un asciugamano piegato a rotolo. Sono tutti nudi, a parte il pannolino, perche’ la temperatura interna e’ regolata a 36 gradi e mezzo. Ognuno ha il suo bel cerottino sul braccio con il nome e la data di nascita... a scanso di equivoci e scambi di persona tutt’altro che improbabili.
I “puffi” lottano per un po’ di spazio: uno ha la faccia vicino ai piedini dell’altro.
Ci sono giganti di 4 chili vicino a scriccioli di 950 grammi: i pretermini li dobbiamo sempre separare accuratamente, per evitare che un “bestione” lo schiacci mentre si gira alla ricerca della posizione piu’ confortevole.
Tra qualche ora comunque le quattro donne che sono state operate oggi saranno in grado di stare con il loro piccolino a letto, ed anche questo momentaneo sovraffollamento trovera’ una soluzione naturale.
La storia e’ un po’ piu’ complessa per i pretermine molto piccoli: essi soffrono di ipotermia, cioe’ diventano freddi fino a livelli pericolosi per la vita, se non vengono tenuti in ambienti a temperatura ed umidita’ controllate.
Per loro normalmente prevediamo dei brevissimi momenti insieme alla mamma, che da’ loro il proprio latte, estratto dal seno precedentemente con spremitura manuale. Il pretermine molto grave non riesce neppure a ingerire ed ha un sondino nasogastrico attraverso cui il latte viene somministrato con una siringa. Quello un po’ piu’ in forze ha invece acquisito il riflesso della deglutizione e viene nutrito dalla mamma stessa usando un contagocce. Quando invece il pretermne e’ quasi pronto per la dimissione, puo’ anche ad allattarsi direttamente al seno.
E’ incredibile a volte vedere come la bocca di un pretermine sia cosi’ piccola che non riesce in alcun modo ad afferrare il capezzolo della mamma che e’ davvero troppo grande per lui.
Molte volte i loro polmoni non sono maturi, ed hanno difficolta’ a respirare: sovente devono essere aiutati con l’ossigeno, che somministriamo con tubicini nasali.
Con i pretermine normalmente il cammino e’ molto lungo e ricco di difficolta’: crescono molto lentamente, e bisogna tenerli in ospedale per dei mesi. Anche la mamma non puo’ andare a casa perche’ deve allattare. Questi bimbi spesso hanno complicazioni polmonari (polmoniti e bronchioliti) che richiedono un monitoraggio stretto, e frequente ricorso a farmaci (antibiotici e cortisone).
A volte poi ci sono delle grosse delusioni: quando per esempio si e’ ricevuto un neonato al di sotto del chilo, lo si e’ curato fino a portarlo ai 1800 grammi... e poi magari muore di una infezione ricorrente (respiratoria o intestinale). Anche l’ab ingestis e’ una complicazione temibile che puo’ addirittura causare la morte: in loro il riflesso della deglutizione non e’ del tutto maturo, e puo’ capitare che il bambino inali del latte, magari dopo un episodio di vomito. Il latte entra nelle vie repiratorie e se non si e’ immediatamente presenti per la rianimazione, questo puo’ segnare la morte improvvisa del piccolo.
Anche la temperatura corporea va monitorata attentamente: se si lascia troppo tempo un pretermine molto piccolo al di fuori della incubatrice, la temperatura di quel corpicino puo’ scendere rapidamente a livelli incompatibili con la vita.
I nostri pretermini sono normalmente dei settimini, nati a causa della malaria o di altre patologie che hanno causato contrazioni prima del tempo. La percentuale di successi e’ buona, anche se non siamo mai riusciti a salvare nessuno tra quelli nati al di sotto delle 27 settimane di eta’ gestazionale.


Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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