sabato 21 marzo 2009

Letterina di Erick Muthomi

Carissima signora Maria Elisabetta,
Mi e’ stato comunicato che ha preso la decisione di sostenermi negli studi. Non posso fare altro che ringraziarla di vero cuore: per me e’ sempre difficile pensare che i donatori potrebbero stancarsi ed io potrei trovarmi nella condizione di dover lasciare la scuola senza finire. Ma ora, con la sua promessa, il mio cuore e’ sereno e posso pensare agli esami che inizieranno la settimana prossima senza troppe tensioni.
Come lei sapra’, i nostri genitori sono morti. Mia sorella Lilian sta finendo le scuole dell’obbligo (la standard 8). Ma e’ aiutata da un’altra benefattrice.
Abbiamo dei parenti, ma quando si tratta di pagare, si defilano tutti. Succede cosi’ anche dalle vostre parti?
La nostra vita e’ dura soprattutto durante le vacanze. Siamo ancora nella casetta di legno dei nostri genitori, ma siamo soli: dobbiamo lavarci la roba e farci da mangiare. Almeno questo problema non ce lo abbiamo nei mesi scolastici, perche’ le scuole sono “convitto” e noi viviamo in esse notte e giorno, sette giorni alla settimana per vari mesi.

Erick

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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