venerdì 20 marzo 2009

La cava


Vicino a Chaaria c'e' una grande quarry, cioe' una montagnola da cui si ricavano pietre da costruzione. Ci sono decine di uomini che ci lavorano per 9-10 ore al giorno, sotto il sole torrido. Li vedi sparsi sul fianco ripido della collina: a torso nudo scavano la roccia con un piccone o a mani nude. Lavorano in condizioni veramente difficili, e non e' raro per noi soccorrerne qualcuno dopo una caduta nel profondo burrone che finisce nel fiume Mariara. Altre volte puo' capitare che un blocco di pietra si stacchi improvvisamente dalla parete, ormai bucata come se fosse un alveare, e investa un gruppo di operai.

Questi manovali vengono chiamati juakali (che in kiswahili significa: sole torrido), per significare quanto sia difficile il loro lavoro sempre sotto il caldo cocente.
Dalla montagna ricavano dei grossi massi, e poi li squadrano con martello e scalpello, trasformandoli in mattoni da costruzione.
I pezzi che non possono essere utilizzati per questo fine vengono poi ridotti in frammenti piccolissimi, chiamati kakoto in kiswahili, ed usati come ghiaia per i muratori.

Le mani di questi manovali sono callose e rovinate sia dagli anni di lavoro duro, sia dalle tante ingiurie portate dalle rocce stesse... Non c'e' tempo infatti per andare in ospedale quando ci si ferisce... qui tutti sono pagati a giornata, e quindi si Piede.jpgperderebbe il lavoro mentre si cerca assistenza medica. Meglio una infezione, che essere disoccupati. Altrimenti cosa si potrebbe dare ai propri figli che aspettano un po' di pane per la cena!
Anche i piedi di questi martiri del lavoro sono in condizioni disastrose, dal momento che su quelle pareti scoscese bisogna arrampicarsi come gatti, e non ci riesce a stare in equilibrio con infradito o sandali. E poi, quanti pietroni saranno caduti su quei pollicioni nel corso di tanti anni di fatica!E tutto questo i juakali lo fanno per circa 1 Euro al giorno: quando penso alla loro fatica; alla sete che devono provare prima che arrivi la sera; alla ricompensa davvero irrisoria, mi sento un po' in colpa, e mi rendo conto di quanto grande sia la sperequazione tra chi vive nel Nord e nel Sud del mondo.


Fr Beppe Gaido


Mani.jpg



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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