domenica 19 aprile 2009

Alta mortalità a Chaaria

L’ultima settimana a Chaaria e’ stata caratterizzata da un numero di decessi veramente impressionante. Per la maggior parte si e’ trattato di morti attese, per lo piu’ di pazienti in stadio terminale di HIV, o con malattie neoplastiche ormai al di la’ di ogni possibilita’ di controllo. Ci sono anche stati due casi di epatiti acute fulminanti, di tipo A. La morte ci coinvolge sempre emotivamente, e soprattutto crea un clima veramente difficile nei nostri cameroni, dove gli altri malati a volte vedono anche due o tre persone “andare al Creatore” nello stesso giorno.
La pediatria poi e’ stata falcidiata dalla malaria cerebrale che negli ultimi tre giorni si e’ portata via tre bambini. Anche qui i pianti disperati delle mamme creano un ambiente pesante per le altre madri che ancora vedono il loro bambino lottare per la sopravvivenza.
Pure in maternita’ abbiamo avuto dei giorni difficili con complicazioni rare: un bimbo e’ infatti nato con onfalocele, cioe’ con una malformazione che ha causato l’assenza di parete addominale anteriore; in pratica il piccolo aveva i visceri all’esterno, avvolti solo dalla trasparente membrana peritoneale. Un altro pupo, al quinto giorno della sua vita ha avuto una occlusione intestinale, probabilmente dovuta al meconio precedentemente ingerito durante il travaglio.
Entrambi questi due neonati sono stati trasferiti a Nairobi, dove speriamo possano essere salvati.
E’ sempre una lotta tra la vita e la morte, ma quando l’ago della bilancia si piega di piu’ verso “chi se ne va”, allora facciamo fatica a non deprimerci.

Fr Beppe



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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