giovedì 30 aprile 2009

Festa grande

Sono le ore 10 del 30 aprile. Il cortile dei Buoni Figli gia’ pullula di fedeli. Moltissimi sono allievi delle scuole elementari e medie, altri sono dipendenti del Centro e dell’Ospedale, altri ancora sono semplici parrocchiani.
Il coro della parrocchia fa le ultime prove di canto. Oggi abbiamo scelto strumenti tradizionali: la kayamba ed i tamburi. Gli alunni perfezionano gli ultimi particolari per le danze.
Il sole e’ splendido, e cio’ ha fugato le nostre paure circa una Messa all’esterno durante la stagione delle piogge. Il celebrante e’ il nostro Viceparroco Father Kiruja, assistito da don Gemello.
Festa2.jpgLa funzione e’ calda e piena di colori: i Buoni Figli sono tutti in ghingeri, con dei kitenge sgargianti. Anche i malati, con le loro uniformi blu e verdi, partecipano a quel caleidoscopio che e’ stata la Messa di oggi.
Dopo la preghiera ci sono stati alcuni balli offerti dai ragazzi delle scuole, e quindi un piccolo rinfresco con tutte le persone che ci hanno onorato della loro presenza.

Non e’ mancato neppure il solito cesareo urgente durante la predica… ma Ogembo e’ stato bravo ed ha deciso di fare lui, in modo da lasciarmi godere la celebrazione.
Anche a tavola e’ stato un po’ diverso, non solo per i Fratelli e per le Suore, ma anche per i Buoni Figli e per gli ammalati… Oggi i pazienti hanno mangiato capretto della nostra fattoria, mentre noi ci siamo goduti la pasta al forno di Sr Lucy.
Per il resto e’ stata una giornata feriale, con tanti malati in ospedale. Marion, di cui vi ho raccontato martedi’ scorso, e’ riuscita a partorire il suo bimbo morto, senza ricorso alla chirurgia.
Credo che il modo migliore per celebrare San Giuseppe Cottolengo sia proprio di cercare di non mandare via nessuno senza offrirgli quanto desiderava ricevere da noi.

Fr. Beppe



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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