mercoledì 1 aprile 2009

Riflessioni giornaliere dal Diario di Padre Pasquale SSC su alcuni "Detti e Pensieri" di S. Giuseppe Cottolengo, a cura di Lino Piano


Numero 4


a) Nella persona dei poverelli deve la suora vedere Gesù Cristo.
b) i più ributtanti devono essere ad essa i più diletti, perché rappresentano più al vivo Gesù.
c) I più disgraziati sono le gioie, le perle della Piccola Casa.

Riflessione


Molti rifiutano di guardare, di avvicinare, di toccare il “diversamente abile”, il diverso da noi perché essi possono rivelare la loro debolezza, i loro limiti.
Che mezzi abbiamo a disposizione per accettarci così come siamo – persone piene di egoismo e di rancore, di paure, di illusioni, di fughe… - ma che abbiamo anche la speranza di vivere e di progredire? Il Cottolengo ci invita a scoprire l’essenza del Vangelo. La povertà fisica, psichica o morale, non è una perdita di dignità, una vergogna, qualcosa da fuggire; può diventare una voce attiva, un richiamo, quando scopro che Dio è un Padre che ama ogni persona nel suo essere più profondo, con tutti i suoi limiti e le sue debolezze; è un Padre che perdona. Prendendo coscienza della mia povertà posso allora accogliere il dono di Dio che è la presenza di Gesù e dello Spirito Santo in me e nei fratelli “poverelli”, “più ributtanti”, “più disgraziati”. Il Padre provvidente mi dice che non sono più le qualità di efficienza e di seduzione ad avere il primato e a fare il valore di un essere. L’essenziale è l’accettazione di quello che sono e l’atteggiamento di accoglienza nella fede e nell’amore di Gesù, che mi dà la forza di amare ciascuno senza paura né pregiudizi. Come il Cottolengo scopriremo quello che è prima di tutto la persona umana: amore e dono, umiltà e accoglienza; e ci renderemo conto che queste qualità hanno la supremazia sul fare.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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