venerdì 10 aprile 2009

Riflessioni giornaliere dal Diario di Padre Pasquale SSC su alcuni "Detti e Pensieri" di S. Giuseppe Cottolengo, a cura di Lino Piano



Numero 63


Se noi unicamente ci confidiamo in Dio, Egli ci guarda: ma se noi confidiamo negli uomini, Egli ci guarda ancora, ma non come vorrebbe guardarci.


Riflessione

Essere liberi dai nostri pregiudizi e dalla paura degli altri ci permette di vedere in ogni persona non un rivale, ma un fratello, una sorella in umanità.
Nel nostro cuore vive il richiamo alla comunione e a tutti quei desideri che vi si ricollegano, ma vi è anche il sentimento radicale della nostra povertà di fronte alla miseria umana.
Ho paura di donarmi; ho costruito ogni sorta di barriere intorno a me; ho congegnato tanti “trucchi” dentro di me che mi impediscono di comunicare! Quand’anche lo volessi, non lo potrei: un’infinità di cose me lo impedisce e io lo sento profondamente nelle mie viscere. E’ così che perdo la speranza e la vitalità. Entro allora in un mondo di tristezza e dubito di me stesso e degli altri, dubito del valore della presenza, dubito di tutto. Questa è la nostra condizione umana.
Si vorrebbe tanto, ma ci si sente incapaci; si crede all’amore, ma dove si trova? Vi sono tanti ostacoli da superare in noi stessi per diventare liberi di essere presenti all’altro e alla sua miseria, alla sua stessa persona
Diventare ogni giorno sempre più libero per accogliere l’altro ed essere a lui presente: questa è la nostra speranza. Perché solamente in tal modo potremo dare la vita.
“Quando sarò innalzato attirerò tutti a me”! Confidare in Dio è lasciarmi afferrare da queste braccia che ci sollevano e dire al Padre Provvidente confido e mi affido a Te. Guardami ancora con misericordia e affetto paterno.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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