Oggi mi sono svegliato con l’umore sotto i tacchi e con un senso di depressione e di fallimento: a volte sembra che quanto piu’ ci si impegna, tanto piu’ il prossimo pare ignorare quello che facciamo per attaccarci ancora, e metterci un po’ di fango sulla faccia.
La tentazione dello scoraggiamento e’ forte, ed e’ cosi’ profonda oggi che mi attanaglia la gola e rende il mio cervello lento ed impastato. Vorrei sdraiarmi sulla barella di room 17, chiudere la porta a chiave, spegnere la luce e rimanere inerte guardando il soffitto.
Eppure non e’ possible: me ne rendo conto che devo lavorare e che bisogna aiutare gli altri, ma in questo momento faccio fatica a ritrovare le motivazioni. Certo, lo devo fare per Dio, che tutto vede e non si lascia certo impressionare da cio’ che dice la gente: Lui sa vedere anche sotto lo strato di fango che a volte ci viene spalmato addosso; Lui e’ anche capace di togliere il bollo che spesso ci ha marchiati e classificati.
Ma la mia poca fede in questo momento chiede anche un segno da Dio.
Ed il Signore ha risposto alla mia richiesta.
Fin da stamane continuavo a chiedermi che senso ha lottare e stancarsi fino allo sfinimento, e la risposta e’ arrivata verso mezzogiorno: era una giovane donna, minuta, di nome Esther. E’ arrivata in barella perche’ collassava ogni volta che tentava di mettersi in piedi. La sua fronte era imperlata di sudore freddo. Ho misurato la pressione, ma non si e’ sentito nulla.
L’ho fatta portare in ambulatorio, e mentre la preparavamo per l’eco, ho notato una cicatrice sulla pancia:
“Quanti anni hai?”
“Diciannove”, ha risposto con voce flebile.
“Hai altri figli? Che tipo di intervento hai subito?”
“Non ho bambini… si e’ trattato di un’operazione per gravidanza extrauterina”.
Non ho risposto, ed ho messo la mano sul suo addome. Era dolentissimo, e la donna saltava ad ogni mio tentativo di premere un po’. Mi sono quindi focalizzato sulle congiuntive: era davvero pallida. Ho provato a percuotere la pancia, ed ho sentito un gorgogliare di fluido che si stava muovendo.
Immaginavo gia’ di cosa si trattasse ma ho deciso di trattenere le mie fantasie e di lasciar parlare la sonda ultrasonografica. Purtroppo la diagnosi si e’ presentata immediatamente, ed e’ apparsa davvero spietata: era chiaro che si trattava di una nuova ectopica, nell’unica tuba che era rimasta ad Esther.
La malata intanto peggiorava ed ora era quasi incosciente. Era evidente che l’emorragia interna era massiva. Abbiamo quindi trasfuso in fretta e furia una sacca di sangue e poi siamo entrati in sala con procedura di emergenza.
Mentre mi lavavo e mi preparavo all’intervento, continuavo a sperare di estrarre il prodotto del concepimento e di poter riparare la salpinge.
Abbiamo operato sotto ketamina, perche’ la spinale avrebbe ulteriormente peggiorato l’ipotensione: e’ stata una anestesia difficile, con la paziente che ha smesso di respirare due volte. Il sangue raccolto in cavita’ addominale era moltissimo, e facevamo fatica ad aspirarlo. Il pavimento della sala era inondato, ed io non riuscivo a trovare la tuba a causa dei fiotti di sangue che emergevano dalla breccia operatoria come da un idrante rotto.
Poi, quando finalmente sono riuscito a mettere una klemmer nel punto giusto, il torrente ematico si e’ arrestato di colpo. Jesse ha continuato a infondere sangue, usando anche lo spremisacca per fare prima. Le condizioni generali pian piano si sono normalizzate, ed abbiamo cosi’ potuto riflettere un momento. La tuba era letteralmente scoppiata insieme al sacco ovulare; tutto intorno alla ferita si presentava necrotica. Abbiamo rimosso il prodotto di concepimento ormai morto da tempo, e poi abbiamo tentato di suturare quello che rimaneva della salpinge. Ma ogni volta che provavamo a cucire, il filo tagliava il tessuto “marcio” e causava una nuova emorragia.
Pressati anche da Jesse che ci chiedeva di chiudere in fretta a causa delle gravi condizioni della donna, siamo stati forzati verso l’inevitabile: abbiamo dovuto accettare la realta’. L’unica via di uscita era di asportare la salpinge, con la consapevolezza che avremmo causato ad Esther, che e’ nullipara ed ha diciannove anni, una sterilita’ permanente che forse le potra’ causare un divorzio e quasi certamente le precludera’ ogni possibilita’ di risposarsi.
Non abbiamo potuto chiederle il permesso, perche’ lei dormiva e forse sarebbe stata incosciente ancora molte ore dopo l’operazione a causa dell’ipotensione e dell’anemia.
“Che responsabilita’ davanti a Dio… eppure non posso mica rischiare di riparare una salpinge che poi le causera’ una nuova emorragia interna, quasi certamente mortale”.
Ho quindi deciso di relegare questi dubbi nel profondo del mio cuore, di affondare due klemmer nel legamento largo, di tagliare e poi suturare. Ho quindi controllato il campo operatorio e lavato abbondantemente con soluzione fisiologica. Non sanguinava piu’. Abbiamo chiuso in fretta il peritoneo, prima che la malata si mettesse a spingere e ci desse problemi con le anse intestinali.
Quando ho visto Esther dopo l’operazione, mi sembrava una bambina. Era ancora addormentata, ed una nuova sacca di sangue scendeva stavolta lentamente. Ho pensato con un brivido al momento in cui le dovro’ dire che non potra’ piu’ avere figli.
“Queste comunicazioni sono la parte peggiore del nostro lavoro”, ho confidato con amarezza ad Ogembo.
Poi, camminando verso la comunita’, con la speranza che mi abbiano lasciato qualcosa da mangiare, ho ripensato alla mia depressione del mattino. Non che il dolore provato poche ore fa sia passato del tutto, ma la storia di questa povera ragazza mi ha aiutato a mettere ogni cosa nella prospettiva piu’ corretta: ha senso lottare… ce l’ha sempre! Per Esther e’ stato importante che ci fossimo, prima che per lei fosse troppo tardi… e poi non devo fare la vittima. C’e’ tanta gente che sta molto peggio di me. Esther rischia di essere ripudiata, additata a vista come una donna sterile e quindi inutile, e questa condizione la bollera’ per sempre: che diritto ho io di lamentarmi?
Fr Beppe
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