mercoledì 27 maggio 2009

Lettera da Natascia

Caro Beppe ormai credo che posso darti del caro.. sono qui da 26 giorni, sembra che la mia vita sia sempre stata qua, tra questa gente dalla pelle nera, diversa dalla mia.. dove il mio essere quasi albina rispetto a loro spicca come un diamante alla luce del sole.
Qualche bambino ancora piange quando passo e voglio prenderlo in braccio.. ricordo ancora quando avevo tre anni e venne a casa per la prima volta un amico di papa’ con la pelle nera.. che paura; me la ricordo ancora.. e come non capire questa gente che si vede piombare una .. con le cuffie alle orecchie, con la sigaretta in bocca..
I primi giorni mi guardavano come E.T., ma io lo facevo quasi apposta, perche’ mi dicevo: la gente capira’..
Natascia1.jpgAdesso quando passo mi salutano tutti, sara’ per il mio carattere rumoramente zingaresco…
Anche se non parlo le lingue locali mi faccio capire perfettamente..
E poi non c’e’ piu’ sordo di chi non vuol sentire...
Domenica vado via.. e non so se voglio tornare a casa. Non so piu’ qual e’ casa mia, qual e’ la mia vita: se questa o quella..
Una cosa e’ certa.. il solco indelebile tracciato da CHAARIA nel mio cuore, le emozioni che servo dentro di me… così gelosamente..
Gli occhi, gli sguardi di questa gente con la sofferenza impressa come una lettera scarlatta, la dignita’.. be’ ci sta da inchinare la testa e dire grazie a loro e al nostro amato Signore.
Ringrazio Dio d’ avermi risparmiato scene drammatiche di morti.. soprattutto di bambini: il mio cuore si sarebbe stracciato..
Le emozioni sono state tante... ed alcuni giorni ho dovuto metabolizzarle..


Natascia

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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