lunedì 4 maggio 2009

Roma per Toma

E' proprio vero che il "reported speech", cioe' i contenuti riferiti solo per sentito dire, sono sempre alterati, ingigantiti, e spesso molto lontani dalla realta'.
Pensate che ieri nella chiesa parrocchiale di Chaaria si e' celebrato il ventesimo anniversario di sacerdozio del nostro viceparroco Fr Alexander Kiruja. E' stata una bella festa con Messa veramente lunghissima e tanti invitati.
Poi alla sera alle 23, quando stavo per andare a letto, vengo raggiunto da Bro Joseph il quale mi dice che Fr Alexander era morto in un incidente stradale gravissimo, mentre riaccompagnava a casa alcuni suoi parenti. Fratel Joseph era chiaramente sconvolto perche' il viceparroco e' un suo grande amico. "Me lo hanno detto i vicini", continuava a ripetere.
La notizia mi ha sconvolto e stamattina abbiamo pregato per il sacerdote scomparso. Quando ho visto il parroco Fr John Peter, gli ho fatto le condoglianze, ed ero piuttosto sconvolto ed imbarazzato anche io.
Ma il reverendo mi ha detto che Fr Alexander e tutti i viaggiatori presenti nella sua Toyota erano completamente indenni... a parte qualche graffio. L'auto era distrutta, ma nulla piu'.
Abbiamo naturalmente ringraziato il Signore per questa notizia, ma tra me ho riflettuto su come si faccia in fretta a riportare notizie errate, distorte e gonfiate.
Mi sono convinto ancora una volta che non bisogna mai fidarsi del "sentito dire", ma occorre verificare i fatti con attenzione.
Mi sono ricordato di quel gioco che facevamo da bambini, quando ci mettevamo in fila indiana, e poi il bimbo ad un capo della fila doveva inventarsi una frase e sussurrarla nell'orecchio del vicino. La cosa doveva continuare con passaparola segreto fino all'ultimo componente dall'altra parte. Normalmente la frase che poi veniva detta alla fine del gioco era completamente diversa da quella che si era pronunciato all'inizio.

Ciao Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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