mercoledì 24 giugno 2009

L'amico dei volontari


Di battesimo mi chiamo Adriano, ma lo uso così poco che sicuramente non mi girerei se qualcuno mi chiamasse con questo nome.
Non so nulla della mia famiglia e non ricordo quando sono nato. Da quello che mi dicono i Fratelli, devo avere circa 37 anni. Sono stato raccolto in uno slum di Nairobi da Don Giusto, nei primi anni dopo la fondazione di Tuuru, e vi ci sono stato portato. Ho vissuto tra quelle alte montagne fino al 1985, quando sono stato trasferito nella nuova casa di Chaaria.
Mi dicono che allo slum ero uno street boy e che mangiavo le cose che riuscivo a raccogliere nella discarica.
Stando nelle missioni cottolenghine, ho imparato a comprendere benissimo l'Italiano, l'Inglese, il Kiswahili ed il Kimeru. Capisco tutto, ma non riesco a parlar nessuna Lingua.
KimaniNatascia.jpgIl mio vero nome, quello che mi piace di più, è Kimani (che voi in Italia dovete pronunciare Chemani): considerando che porto il numero di scarpe 45, qualcuno sostiene che dovrei chiamarmi anche CHE PIEDI.
Mi piace tantissimo imitare quello che i volontari fanno: adesso con Gianni passo la giornata a verniciare e spostare tralicci di ferro; con un volontario cuoco, mi diletterei volentieri a rimestargli la polenta od altri piatti.
Vado quasi sempre in chiesa con i Fratelli, portando i miei libri di preghiere: uso normalmente topolino, che leggo rigidamente al contrario. Cerco di imitare i suoni che escono dalla bocca del mio vicino, e regolarmente lo faccio sbagliare.
Ho anche tutta una serie di lavori occupazionali completamente miei. Al mattino alle sei faccio la provvista di legname per la cucina. Aiuto a preparare la colazione per i pazienti dell'ospedale. Collaboro con Isidoro e Geremia alla pelatura delle papate.
La mia passione più grossa è comunque quella di andare a Chaaria alla domenica pomeriggio: lì trovo sempre qualche persona di "buon cuore", che mi fa bere birra locale e mi regala la miraa. Spesso però, quando ho bevuto un po' e masticato tanta miraa, loro mi portano via le scarpe ed io devo tornare a casa scalzo.
Il mio motto preferito è: "chi lavora, non mangia": non so se è proprio giusto, ma a me suona bene così.
Ciao Ciao Ciao
Vi aspetto a Chaaria

Kimani

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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