venerdì 19 giugno 2009

Una terribile disgrazia (dal diario di Chaaria)

Sto visitando pazienti ambulatoriali. E’ l’una e venti di venerdì 19 giugno. L’ambulatorio e pienissimo, come solitamente accade prima del weekend. Dalla finestra si sente il vociare dei malati ancora in attesa di essere visitati.
Poi improvvisamente un boato: e’ chiaramente un rumore metallico, e pare lo schianto di due automezzi in collisione frontale.
Il chiacchiericcio cessa di colpo e si sente il rumore di gente che corre; qualcuno grida e chiede aiuto.
Finisco l’ecografia che stavo facendo nel minor tempo possibile, e mi avvio verso il cortile antistante il dispensario. Noto subito che il cancello del passo carraio e’ tutto storto. A poca distanza un camion ancora in moto, e dietro ad esso una folla di curiosi che fanno ressa. Mi faccio strada insieme ad Ogembo, e scorgo a terra un uomo in stato di profonda incoscienza. C’e’ una pozza di sangue sotto la sua testa, ed il respiro e’ molto irregolare.
L’emorragia viene soprattutto dall’orecchio sinistro e dalla bocca, mentre dal naso esce un liquido rosa in quantità impressionante.
Raccogliamo un po’ di storia dal camionista ancora sotto shock: “Eravamo a Giaki a caricare legname da portare a Isiolo. Lui si e’ sentito male; probabilmente era malaria. Lo abbiamo trasportato qui in fretta e furia. Era seduto nel cassone del camion insieme ad altri operai. Sudava ed aveva capogiro. Non so come sia successo: i freni non hanno funzionato ed ho preso in pieno il cancello. Il contraccolpo ha provocato l’apertura del portellone posteriore, e lui, che già barcollava a causa del malore, non ha potuto tenersi in equilibrio ed e’ stato scaraventato fuori, picchiando la testa su una pietra”.
Il povero conducente piange disperato, mentre noi pensiamo al “da farsi”:
“Prendiamo il telo che usiamo in sala per il trasporto dei pazienti. Meno si muove e meglio e’. Ogni piccolo movimento può causare ulteriore danno cerebrale”.
Arrivano in tanti. Bro Elisha e’ il più solerte. Poi giungono i watchmen ed un paio di infermieri.
Lottiamo disperatamente contro la morte che si avvicina inesorabile e senza pietà. Gli prendiamo una vena. Facciamo del cortisone per ridurre l’edema (il gonfiore) cerebrale. Intanto gli diamo ossigeno, ed aspiriamo le secrezioni sanguinolente che gli escono dalla bocca e dal naso. E’ in coma profondo.
“Vuoi fare una TAC per confermare la frattura della base cranica?”
“Assolutamente no! Non arriverebbe certamente vivo a Meru”
Ed in effetti la morte prende il sopravvento, e alle ore 16 il nostro operaio, di cui ancora non conosciamo il nome, ci lascia e va in Paradiso. Noi siamo stremati, affamati, ma anche rassegnati: in fondo lo sapevamo fin dal primo momento che non ce l’avremmo fatta!
Rimaniamo con il camionista sconvolto, che e’ già stato interrogato dalla polizia… teme di essere arrestato. Ma ora il suo problema più grosso è un altro: dirlo alla moglie.
Quel giovane uomo e’ partito da casa sano per andare a lavorare, ed ora e’ nel nostro obitorio. Chissà che colpo per la consorte e per i figli.


Fr Beppe



PS. A NOME DI TUTTI A CHAARIA, ESPRIMO GRANDE RICONOSCENZA ALL’UFFICIO COOPERAZIONE DELLA PROVINCIA DI PESARO, PER AVER DECISO DI DONARCI UN GROSSO QUANTITATIVO DI FARMACI, SELEZIONATI A SECONDA DEL NOSTRO BISOGNO. AVEVO INFATTI MANDATO UNA LISTA DELLE MEDICINE A NOI PIU’ UTILI, A CUI POI E’ SEGUITA LA RISPOSTA POSITIVA DELLA PROVINCIA. GRAZIE ANCORA.


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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