domenica 5 luglio 2009

Volti di Chaaria: Alì

Mi chiamo Ali’ e sono a Chaaria dai suoi inizi nel 1986. Quando ci sono arrivato ero un bambino piccolo. Dal mio nome si direbbe che io sia musulmano. Potrebbe anche essere, ma io purtroppo non capisco praticamente nulla, e non so neppure che cosa sia una religione.
Mi dicono che sono ugandese. Il modo in cui sono arrivato a Chaaria e’ molto complesso, ed anche io non lo so bene.
Ali.jpgA quanto pare tutta la mia famiglia e’ stata trucidata dagli uomini di Idi Amin, durante gli anni della sua dittatura in Uganda. Mi raccontano che ero in casa pure io quando gli uomini del presidente sono entrati ed hanno freddato i miei cari... sembra che io sia sgattaiolato sotto un letto, e che i sicari non si siano interessati di me in quanto handicappato mentale gravissimo, e quindi politicamente non pericoloso per il regime.
Sono poi stato raccolto da dei Buoni Samaritani che mi hanno fatto entrare in Keya come rifugiato: e’ poi stato grazie alle organizzazioni caritative della Chiesa che io sono arrivato a Chaaria.
Al Cottolengo Centre c’e’ tutta la mia famiglia. Non ho nessun altro al mondo. Non so se in qualche modo l’esperienza che vi ho raccontato abbia qualche attinenza con la mia malattia mentale: fatto sta che io sono molto asociale ed autolesionista. Se qualcuno mi viene troppo vicino, io urlo forte e faccio il matto... in questo modo li spavento e li faccio indietreggiare, anche se onestamente sono io quello che ha paura degli altri.
Poi mi picchio ripetutamente sulla fronte, dove ormai ho dei grossi bernoccoli. Da qualche tempo mi hanno trovato una terapia a basse dosi di aloperidolo: all’inizio non mi piaceva perche’ ero sempre soporoso; addirittura mi addormentavo mentre camminavo e perdevo la saliva... ma ora penso di essermi abituato alle gocce e non mi viene piu’ sonnolenza. Mi rendo conto che la medicina mi fa bene, perche’ ho meno timore degli altri e grido piu’ raramente quando mi si avvicinano. In qualche modo sono un po’ piu’ socievole.
Sono capace di camminare ed ho le mani buone, ma il mio cervello e’ cosi’ scostante che non riesco a seguire neppure un piano basilare di terapia occupazionale o di scuola speciale. Non sono neppure in grado di capire delle frasi semplici, per cui la gente ha praticamente quasi smesso di chiedermi di fare delle cose. Gironzolo per il centro ed a volte raccolgo foglie... ma non so perche’ lo faccio, in quanto poi le butto via. Pero’ riesco a mangiare da solo e sono autosufficiente per andare ai servizi. Per il bagno i volontari mi devono aiutare, ma ora non li spavento piu’ con urla e con pugni sulla fronte: sono diventato docile.
Sovente entro nella cappella dei Fratelli mentre loro pregano: mi piace stare dove si sente cantare... ma poi ci esco velocemente sbattendo sonoramente la porta: e’ un mio problema di fondo; ho “l’argento vivo addosso” e non riesco a stare piu’ di cinque minuti nello stesso posto o nella medesima posizione.
Anch’ io ho degli amici del cuore da cui non vorrei mai staccarmi: la persona a me piu’ cara e’ Bro James.
Vi ho gia’ detto che non so parlare ed emetto solo degli urli quando sono spaventato... ma quando vedo James i miei suoni sono dolci perche’ desidero fargli sentire che lo voglio vicino a me.
Quando verrete a Chaaria, non stancatevi di provare: venitemi vicino tante volte... alla fine riusciro’ a stringervi la mano.

Ali’



PS: da alcuni giorni a Chaaria abbiamo un nuovo volontario, Luca, che e’ amico e vicino di casa di Gianni. E’ una persona solare e buonissima. Lavora dai Buoni Figli, dove si impegna non solo nei servizi piu’ direttamente assistenziali, ma anche nella scuola speciale e nel laboratorio di terapia occupazionale. Qui lo vedete nella immancabile partita a ping pong del dopo cena.


GianniLuca.jpg


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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