martedì 8 settembre 2009

Dal diario di Chaaria


Domenica 6 settembre: e’ stato un momento molto emozionante quando abbiamo salutato i nostri amici polacchi che in sequenza sono venuti ad aiutarci dalla comunita’ francescana di Ruiri. Avventurosi per natura, come erano arrivati, cosi’ sono ripartiti: zaino in spalle, sono andati a cercarsi un matatu a Chaaria market. Da qui raggiungeranno Isiolo e poi il Turkana, dove sono attesi in un’altra missione nel deserto.
Grazie a voi, cari amici Milka, Magda e Christopher: ci manchera’ la vostra travolgente simpatia, il vostro spirito di adattamento, la vostra semplice spiritualita’ cristiana, la vostra gran voglia di lavorare.
Che bello che il nome di Chaaria possa attraversare le frontiere italiane e raggiungere altre parti d’Europa. Speriamo di poterci un giorno incontrare nuovamente.
Anche oggi il week end si mostra in tutta la sua strana confusione; mentre i volontari rimasti con noi si godono un giorno di svago al Meru National Park, noi lottiamo per tener testa al numero di pazienti: passiamo la notte in ospedale con 3 tagli cesarei tra le ore 22 e le 5 di mattina.

 
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Lunedi’ 7 settembre: Emily e’ tornata in Paradiso all’eta’ di 17 anni. E’ stato struggente vederla morire pian piano. Si tratta probabilmente di un caso di MDR TB, cioe’ di tubercolosi multi-resistente alla terapia.
Era stata trattata l’anno scorso con il corso completo di 8 mesi, ma si e’ ripresentata in ospedale con segni clinici di gravissimo scompenso cardiaco destro. Era molto gonfia, respirava a fatica e non poteva neppure riposare coricata perche’ le mancava il respiro.
La lastra ripetuta pochi giorni fa ha mostrato una fibrosi polmonare gravissima a destra con conseguente ipertensione del piccolo circolo e scompenso destro.
Sfortunatamente l’esame dell’escreato e’ risultato nuovamente positivo per micobatteri tubercolari.
Emily sembrava migliorare con un cocktail terapeutico comprendente farmaci cardiologici e antitubercolari di seconda linea, ma sfortunatamente non ce l’ha fatta e ci ha lasciati mentre gia’ speravamo di aver avuto successo.
Margaret ha invece una terribile ustione della mano destra. La bruciatura e’ cosi’ profonda che che non credo sia possibile sperare in un recupero. Anzi il grosso pericolo e’ che tutta quella carne necrotica e putrefatta costituisca un pabulum per i germi che poi potrebbero migrare per via ematica e causarle una setticemia.
Dobbiamo aiutarla a decidere per una amputazione a livello del gomito. E’ una decisione molto difficile, visto che si tratta della mano destra, e Margaret non e’ mancina.
Anche stavolta siamo di fronte ad uno dei terribili danno causati dall’ epilessia, soprattutto quando la terapia non e’ ottimale, vuoi per mancanza di farmaci adeguati, vuoi per problemi finanziari del malato ad acquistare le medicine. A questo proposito mi vengono in mente tanti episodi evangelici: ai tempi di Gesu’ non si sapeva niente della epilessia, e le persone affette da questa condizione erano considerate indemoniate. Molte volte leggiamo nel Libro Sacro, che sovente il demone “li agitava e li gettava nel fuoco”. Con il senno di poi, possiamo dire che le osservazioni degli evangelisti avevano colto una caratteristica importante della malattia, pur non riconoscendone ancora la causa: infatti, non soltanto durante le crisi comiziali i pazienti si contraggono ed emettono grugniti che possono far pensare ad un ossesso, ma e’ un dato scientifico che le luci intermittenti e con gradi di intensita’ continuamente cangianti, possono stimolare un attacco. Come ai tempi di Gesu’, anche oggi e’ per noi frequente ricoverare delle povere donne che hanno riportato ustioni estesissime, perche’ il luccichio del fuoco nella penombra serale, ha causato la crisi mentre la ignara paziente stava cucinando curva sulla pentola. Durante l’ attacco il paziente e’ incosciente, e quindi rimane molto a lungo esposto al fuoco, a meno che ci sia qualcuno nelle vicinanze pronto a soccorrerlo.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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