martedì 24 novembre 2009

Addis Abeba

E’ sempre una esperienza molto particolare arrivare nella capitale etiopica (per me la seconda volta): l’aeroporto e’ super moderno e ti lascia l’impressione di una metropoli avanzatissima.


Appena fuori pero’ l’impressione si modifica rapidamente: le luci elettriche ci sono anche lungo la strada; si possono vedere case molto “prominenti”, ma tra di loro si notano magioni in gran parte costituite di fango. Anche di notte i negozietti sono aperti: molti hanno l’elettricita’, ma altri usano una semplice lampada a petrolio. Certo poi ci sono quartieri eccezionalmente belli, come quelli vicini alla sede della Unione Africana: in quella parte della citta’ ci sono molti semafori, mentre in tutto il resto della capitale il traffico si deve regolare senza questo ausilio, perche’ i semafori sono pochissimi: ho gia’ visto un incidente tra due taxi a pochi minuti dal mio arrivo. Fortunatamente la macchina in cui mi trovavo non e’ stata coinvolta. Il mio taxista era molto gentile, come in genere la gente in Etiopia, e non ho avuto alcun timore quando, arrivato all’aeroporto completamente solo, ho dovuto chiedere di essere accompagnato in macchina all’hotel Semien, dove mi avevano gia’ prenotato la stanza.


L’altra cosa veramente impressionante per me e’ l’impatto con i lebbrosi: sono tantissimi; molti di loro vivono di elemosina sui grandi marciapiedi della capitale. I marciapiedi sono anche la loro casa e di notte sono occupati quasi completamente da sacchi a pelo, o da cartoni nei quali i senza-fissa-dimora tirano a campare. Si sente un forte odore di urina quando si cammina, cercando di non calpestarli.


Fa male passare vicino a queste centinaia di mani senza dita che si levano da corpi storpiati e mutilati, avvolti in stracci indecenti... Mi ricorda quella scena del film “Jesus Christ Superstar”, quando Gesu’ viene assalito da decine di lebbrosi che lo spintonano da tutte le parti urlando i loro problemi; ed il Signore, nella sua profonda umanita’, sembra non farcela piu’, ed esclama nel canto: “Siete troppi!”.


Ho visto anche scene molto dolorose, come quando un bambino-mendicante ha rubato le monete dalla ciotola del lebbroso cieco, ed e’ stato inseguito senza successo dai passanti.


Molti lebbrosi vivono nel cortile della grande chiesa ortodossa di San Giorgio, a poche centinaia di metri dal Centro Culturale Italiano, dove si tiene la prima parte del Congresso. Anche gli eterni riti ortodossi mi affascinano e mi attirano, con i loro incensi, le loro preghiere lunghissime, il sacta sanctorum in cui puo’ entrare solo il sacerdote. Al mattino presto, dopo aver fatto presente al pope che io sono un cattolico, mi piace togliermi le scarpe ed essere da lui accompagnato al luogo della preghiera, dove mi dice che posso fermarmi a mio piacimento. Lui e’ orgoglioso farmi notare che parla bene inglese (moltissimi qui conoscono solo l’amarico), e mi conduce di fronte ad un muro affrescato della chiesa, dove sono dipinte ed elogiate tutte le imprese del Negus Haile’ Selassie’.


Ad Addis sono rimaste alcune reminiscenze italiane: ci sono baretti con dehors che potrebbero ricordare Trastevere a Roma. In essi si puo’ bere un espresso discreto, che in genere ti offrono con un dolcetto (cosa del tutto impossibile in Kenya, dove il caffe’ ricorda cio’ che potresti bere a Londra). Altra cosa per me carina e’ il trovare delle panetterie, dove posso comprare del pane caldo che mangio come pranzo e come cena (infatti negli alberghi i pasti non sono compresi nel pacchetto dell’offerta/congresso che ho ricevuto).


Alcuni quartieri hanno ancora nomi italiani: la zona della chiesa di San Giorgio si chiama “Piazza”, mentre quella dei dei mercati generali si chiama appunto “Mercato”.


Ad Addis si puo’ comunque anche vedere il progresso. Rispetto al 2007 e’ piu’ pulita. Ci sono molte costruzioni nuove. Ci sono alberghi e centri congressi. Il traffico non ricorda ancora quello caotico di Nairobi, ma e’ aumentato tanto, con molte macchine fresche di fabbrica. Ci sono persone ben vestite che passeggiano. Ci sono moltissimi negozi di oreficerie.


Purtroppo, come spesso in Africa, il corasto tra ricchi e poveri e’ piu’ crudele: io ho una camera con televisore ed antenna satellitare atraverso cui posso vedere la BBC, ma a pochi metri dall’hotel, i poveri dormono sul marciapiede.


Ad Addis i matatu sono blu e bianchi, e sono dei pulmini Wolswagen di modello antico. I taxi sono di marca Lada, anch’essi blu e bianchi: somigliano moltissimo alla vecchia 124 della FIAT, e costituiscono una reminiscenza degli anni in cui il regime etiopico era una roccaforte africana del blocco sovietico.


Tutte queste sono emozioni a margine del congresso. Poi vi diro’ le cose che imparero’. Per ora vi dico che e’ molto internazionale, e che sto conoscendo medici di varie parti del mondo.


Per me e’ bello poi stare con il gruppo che viene da Roma (Istituto San Gallicano): il loro accento romanesco ed il loro entusiasmo mi riempiono il cuore di gioia.



Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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