Bonface e’ arrivato domenica pomeriggio da molto lontano. E’ parente di un nostro confratello, ed e’ stato portato qui con la speranza che noi potessimo fare qualcosa per lui.
Ha dolori lancinanti all’addome, ed in prima battuta sembra che si tratti di un’ulcera peptica.
Sono solo a quell’ora della domenica e cerco di fare del mio meglio. Visitandolo mi pare che l’addome sia trattabile e che quindi non ci troviamo di fronte ad una emergenza chirurgica. Ascolto i suoni intestinali appoggiando il fonendoscopio sulla sua pancia, e la peristalsi e’ presente... anche questo e’ un elemento incoraggiante. Faccio un’ecografia, che al momento non mi mostra nulla di particolare.
Instauro una terapia per un’eventuale ulcera, pensando ad una gastroscopia l’indomani mattina.
Passo a rivedere il paziente piu’ volte, soprattutto perche’ e’ sempre ansiogeno per me seguire un parente di un confratello. Le sue condizioni si dimostrano stabili, ma il dolore addominale, soprattutto ai quadranti superiori, rimane lancinante e non accenna assolutamente a diminuire, nonostante tutte le nostre medicine.
Vado a dormire preoccupatissimo, ed al mattino alle 6 gia’ sono nel reparto uomini, con la vaga paura di non trovarlo piu’. In realta’ Bonface e’ presente, ma ora le sue condizioni sono peggiorate: ha la pancia molto distesa e dura, ed e’ assai sofferente.
Rifaccio un’eco urgentemente, ed il quadro e’ totalmente cambiato. C’e’ fluido tra le anse intestinali, e subito penso ad un’ulcera perforata.
In condizioni ordinarie, per casi di questo tipo la mia unica opzione sarebbe di prendere l’ambulanza e di partire per Meru, affidando poi ad altri il mio paziente.
Oggi pero’ le cose sono diverse! Ci sono i chirurghi siciliani, appena arrivati dall’Italia!
Chiamo subito il dott Di Stefano, e gli presento il caso clinico: lui e’ d’accordo che si tratti di un addome acuto. Vista la storia, pure lui si orienta su un’ulcera perforata.
Paolo, l’anestesista del gruppo, non e’ affatto preoccupato e mi rassicura sul fatto che non avra’ problemi a gestire il malato in sala. Ci mettiamo pochissimo ad iniziare.
Guardo in giro nella mia microscopica “stanza da interventi”, e vedo un sacco di novita’. In un battibaleno Paolo ha montato un infusore automatico di anestetici, un altro marchingegno elettronico che infonde analgesici in pompa, ed un sistema alternativo di ventilazione del paziente, direttamente connesso alla nostra bombola dell’ossigeno.
Paolo e’ un mago nella intubazione, e gestisce l’operando curarizzato con quell’atteggiamento “sans souci”, cosi’ importante per un anestista che deve prima di tutto infondere coraggio e tranquillita’ ai chirurghi... soprattutto quando affrontano situazioni su cui grava l’imponderabile, unito alla solita sfortuna che accompagna tutte le operazioni su amici e conoscenti.
Il Dott Di Stefano e’ calmo e bravissimo. E’ coadiuvato dalla dottoressa Gagliardo, mentre io faccio da terzo. Apriamo strato per strato. Dopo aver inciso la fascia, il peritoneo sporge all’infuori come se fosse sotto pressione. L’operatore lo apre con calma, mentre l’anestesista parla d’altro, sempre per i suoi scopi ansiolitici...credo soprattutto nei miei confronti.
Incisa la lucente parete peritoneale, eccoci di fronte ad una sorpresa: non c’e’ liquido fecaloide, e non c’e’ neppure materiale gastrico tra le anse. Il versamento c’e’, eccome... ma e’ ematico. Sulle anse intestinali sono cosparse delle particlelle biancastre, che somigliano molto al latte cagliato. Il sangue si e’ infiltrato tra le anse e pare provenire da una zona particolare, che ricordo benissimo perche’ all’esame di patologia chirurgica me l’hanno chiesta per due volte, bocciandomi in entrambi i casi. Si tratta della retrocavita’ degli epiploon.
Di Stefano dice quello che io non oso pensare, anche perche’ comincio gia’ a darmi dello scemo per non aver chiesto una amilasi il giorno precedente. Si tratta di una pancreatite acuta necrotico-emorragica. L’operatore analizza anche lo stomaco e le anse intestinali: non ci sono perforazioni.
I chirurghi italiani sono bravissimi. L’ anestesista e’ eccezionale... per cui l’intervento procede con tranquillita’, senza urla, nervosismi o sbagli.
Alla fine di circa due ore e mezza di lavoro, Bonface e’ in camera sua: ha un sondino nasogastrico, un catetere vescicale, quattro drenaggi che gli escono dalla pancia e attraverso cui facciamo dei lavaggi continui con fisiologica. La pompa continua il suo bip-bip, ed infonde al malato la quantita’ giusta di antidolorifici per farlo stare tranquillo.
Che fortuna per Bonface e per la sua famiglia. La rottura del pancreas e’ avvenuta quando gia’ era ricoverato... e soprattutto nel periodo in cui abbiamo un ottimo team chirurgico. E’ proprio vero che la sopravvivenza a volte dipende da una buona dose di fortuna.
Ringrazio Dio per queste “congetture astrali” che ci hanno permesso un’operazione impensabile ventiquattr’ore prima, e voglio dire al mio confratello, se mai leggesse il blog, che ci prenderemo la massima cura di suo cugino.
Fr Beppe
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