Spesso ci sono amici molto preoccupati per il futuro dell’ospedale di Chaaria. Mi ricordano che sto diventando vecchio, e che potrei anche ammalarmi da un momento all’altro. Richiamano alla mia mente il fatto che potrei essere trasferito, e che Chaaria potrebbe diventare un grosso problema di ordine gestionale, un problema che andra’ ingigantendosi quanto piu’ noi ci apriamo a nuove esigenze ed offriamo nuovi servizi.
“Siamo partiti da un dispensario, ed ora siamo giunti alla prostatectomia... Quando ci fermeremo? Arriveremo alla neurochirurgia?”, qualche voce preoccupata continua a sussurrarmi nell’orecchio.
C’e’ poi il problema economico: piu’ offriamo servizi e piu’ spendiamo, per cui Chaaria diventa sempre meno gestibile, man mano che ci ingrandiamo.
E’ difficile per me dare delle risposte.
Quello che scrivero’ ora parte dal profondo del mio cuore, e certamente pecca di emotivita’... ma rimane il fatto che io ci credo profondamente.
Parto dal Vangelo, la’ dove Gesu’ ci parla dei talenti che dobbiamo far fruttificare: questo brano sempre mi incoraggia a credere che, se Dio mi ha dato delle capacita’, io devo cercare di sfruttarle al massimo per il bene degli altri. Mi sentirei quanto meno un pusillanime, se, avendo la capacita’ di soccorrere qualcuno nei suoi problemi di salute, io non cercassi di aiutarlo. Se Dio non voleva che si facessero certi interventi o certe prestazioni mediche, non ce ne avrebbe dato la capacita’, perche’ noi cristiani crediamo che “tutto viene da Dio”.
Che cosa succedera’ in futuro... questa e’ un’altra difficolta’ che molti mi presentano. E certamente tale preoccupazione va in linea con i piani gestionali delle industrie. E’ un discorso che comprendo, ma che in qualche modo mi lascia sempre un po’ confuso. Cerco di spiegare meglio quello che penso. Il Cottolengo pensava che le opere di carita’ siano come una piramide rovesciata che parte da un punto insignificante e si dilata sempre di piu’ verso l’alto, sfidando tutte le leggi della fisica, perche’ poggiate solo ed unicamente sulla Divina Provvidenza.
Egli poi, spinto dalla carita’, ha aperto dei servizi che sono durati a volte meno di un anno: li ha iniziati, bruciato dal suo zelo senza limiti; poi si e’ accorto che non erano sostenibili, e li ha semplicemente superati.
Penso anche a certi confratelli, come per esempio Fr Luigi Bordino, che ha passato tutta la sua vita nel reparto di chirurgia dell’ospedale Cottolengo di Torino. Ora i Fratelli non ci sono piu’ in quel servizio, ma quello che Fr Luigi ha fatto rimane, perche’ la Bibbia ci ricorda che “alla fine rimarranno solo tre cose: fede, speranza e carita’. Ma di tutte la piu’ grande e’ la carita’”.
Penso pure a Fr Clemente Barberis che ha dato la sua vita al reparto degli epilettici, ora superiato perche’ assorbito in altri gruppi assistenziali.
Il volto dei vari servizi e la modalita’ della loro gestione possono cambiare, ma davanti a Dio “nemmeno un bicchiere d’acqua dato per amore sara’ dimenticato”.
Se quindi in tutti questi anni a Chaaria abbiamo salvato la vita a delle persone; se abbiamo fatto interventi cirurgici e medici per gente che non avrebbe potuto permetterselo in altre strutture, oso pensare che anche questo non sara’ da Dio dimenticato.
Ci sara’ un giorno in cui queste operazioni non potranno piu’ essere eseguite? Un tempo in cui Chaaria potrebbe ridiventare piccola come un dispensario?
Puo’ darsi! Ma quello che conta e’ l’oggi: e’ la persona davanti a me con una gravidanza extrauterina, la quale morirebbe se non la opero immediatamente. E’ la mamma che ha partorito per strada e che Fr Lorenzo e’ andato a prendere con l’ ambulanza prima che morisse dissanguata. E’ la giovane che piange perche’ teme di perdere il figlio primogenito, ma poi lo puo’ abbracciare vivo e vegeto, dopo un cesareo notturno. E’ il ragazzo che e’ tornato a casa guarito dopo un terribile attacco di tetano.
Le migliaia di persone che abbiamo restituito alle loro famiglie dopo una malattia saranno quelle che in Paradiso ci ripeteranno che l’ospedale di Chaaria non e’ stato inutile, anche se non e’ stato neppure eterno. D’altra parte solo Dio lo e’!
Penso a Wamba, ed ai quarant’anni in cui il Dott Prandoni ci ha riversato le sue competenze. Oggi Prandoni e’ in pensione, e certe prestazioni sono parecchio diminuite; ma chi puo’ dimenticare le decine di migliaia di poveri che l’ospedale di Wamba ha aiutato e salvato, e che, seppur in misura piu’ contenuta, continua a soccorrere anche oggi?
Quello che intendo dire e’ che mi sembra molto inopportuno non fare oggi il bene che e’ in nostro potere, per la paura che domani non riusciremo piu’ a dargli una continuita’. “Oh Dio, per amarti non ho che oggi!”, sempre ripete alla mia anima Chiara Lubich di venerata memoria. Io credo fortemente a questo messaggio: dobbiamo dare il massimo di noi stessi oggi, perche’ non sappiamo neppure se il futuro ci sara’.
E i soldi?
E’ chiaro che il Chaaria Hospital e’ anche un buco nero dal punto di vista finanziario. E’ evidente che un dispensario in un Paese in via di sviluppo potrebbe ancora forse pareggiare i bilanci, ma certo non un ospedale. Qui pochissimi hanno la mutua, e molte volte hanno pochissimi soldi.
Se noi fossimo un dispensario, prima di tutto potremmo funzionare con un massimo di quattro dipendenti. Inoltre, la gente saprebbe che qui non si curerebbero patologie gravi. Magari verrebbero da noi per una malaria non complicata, e, se non hanno soldi, potremmo tranquillamente dire loro di tornare l’indomani a comprare le medicine. O magari gli faremmo anche credito, e se ci fregassero, avremmo perso circa quaranta centesimi di euro.
L’ospedale e’ diverso! Come fai a mandare via una persona che ha una malaria cerebrale, una meningite, o una occlusione intestinale? Sia che abbiano qualche scellino, sia che non ce l’abbiamo, sei obbligato eticamente a soccorrerli. Ma in questi casi i costi che la struttura incorre per salvare la loro vita sono esponenzialmente piu’ alti di quelli di un dispensario: magari un’operazione; senza dubbio giorni o a volte mesi di ricovero, dopo i quali forse devi dimettere il malato senza aspettarti un soldo. Ecco perche’ l’ospedale e’ sicuramente un buco nero, finanziariamente parlando. Pensiamo ai malati di AIDS terminali, che sovente vengono abbandonati in reparto per mesi, e poi li dobbiamo anche seppellire perche’ nessuno viene per il cadavere. Pensiamo ad un paraplegico “alettato”, magari da polio o da un’altra forma di paralisi: con che cuore lo riporteresti a casa in una baracca; ad una famiglia che lo ha abbandonato ad occhi aperti in ospedale?
Ma, forse con troppa emotivita’, io penso che nei bilanci di un ospedale missionario, nella colonna delle entrate bisognerebbe anche scrivere il numero di pazienti che abbiamo servito, e non soltanti gli scellini che siamo riusciti a raccimolare.
E poi, da questo punto di vista, il blog ci ha veramente aiutati anche economicamente.
Vi lascio ancora un ultimo pensiero che nuovamente traggo dal Vangelo: un albero buono lo si riconosce dai suoi frutti. Non si possono infatti raccogliere frutti dai rovi. E poi Gesu’ commenta: “dai loro frutti li riconoscerete!”
Questo pensiero mi ha sempre dato un grandissimo incoraggiamento, e ripenso ad esso soprattutto quando vedo il corridoio dell’ambulatorio strapieno, o quando, come ieri pomeriggio, ho dovuto predisporre delle brande nei cameroni perche’ non avevamo piu’ letti. Quello che mi incoraggia e’ infatti che la gente continua a venire da noi: se per raggiungerci fanno viaggi anche di 300 Km, e poi accettano di essere ricoverati a volte nello stesso letto con un altro paziente, perche’ siamo al completo, e’ perche’ in Chaaria vedono qualcosa di buono. Se no, dopo molti anni, si sarebbero stancati, e non verrebbero piu’ da noi. Credo che Chaaria sia un albero buono, perche’ i suoi frutti sono buoni: se l’ospedale fosse vuoto e noi ci grattassimo le ginocchia dal mattino alla sera, certo dovremmo fare un esame di coscienza e chiederci come mai i malati ci hanno abbandonati.
In conclusione, vorrei tornare ancora un attimo al Cottolengo, che rimane il nostro modello ispiratore: quando il ministro dell’Interno si dimostro’ preoccupato del futuro della Piccola Casa, il Santo gli fece capire che l’unico modo per sanare il bilancio, era quello di aumentare i ricoverati, perche’ quanto piu’ siamo generosi, tanto piu’ la Provvidenza ci mandera’ aiuti. Il Cottolengo era convinto che i poveri che serviamo fossero delle cambiali della Divina Provvidenza: se abbiamo tante cambiali, la Provvidenza ci paghera’ largamente. Se di cambiali ne abbiamo poche, naturalmente la Provvidenza chiudera’ un po’ il rubinetto dei suoi doni.
Ed in un altro episodio, quando il Re Carlo Alberto manifesto’ al Cottolengo la viva preoccupazione per la sua successione alla guida della Piccola Casa, il Cottolengo gli disse che sarebbe stato semplicemente come il cambio di guardia al cancello del palazzo reale, in quanto la Provvidenza “con un calcio in una siepe avrebbe fatto nascere cento sostituti migliori di lui”.
Questo e’ quanto spero ostinatamente, e magari anche ingenuamente, per il futuro di Chaaria, che appartiene alla Provvidenza e che vedra’ il suo futuro disegnato dalla Provvidenza stessa, secondo vie che noi ora non possiamo neppure immaginare.
PS: questa riflessione riguarda l’ospedale, semplicemente perche’ mi e’ sempre parso il punto piu’ nevralgico di Chaaria. Con cio’ non intendo assolutamente sminuire l’importanza del Centro dei Buoni Figli, che rimane il cuore pulsante e la “pupilla” della nostra missione. Anche il Centro ha i suoi problemi economici (per esempio nessuno paga una retta), ma onestamente il suo progredire mi pare abbia meno “singhiozzi” e susciti meno perplessita’ rispetto alla parte ospedaliera.
Fr Beppe Gaido
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