giovedì 11 novembre 2010

E' stata colpa mia...

Stanotte e’ morto un paziente che 7 giorni fa era stato operato con successo di perforazione gastrica.
E’ stata una morte improvvisa, avvenuta in non piu’ di 5 minuti, e preceduta da un accesso violento di tosse.
A nulla sono valsi i nostri tentativi di rianimazione.
Anche un cieco si sarebbe reso conto che si trattava di una embolia polmonare massiva che si e’ portata via quella persona in pochissimi minuti.
La cosa che mi fa star piu’ male e’ che il giorno dell’intervento Cristian mi ha chiesto di mettere la profilassi con eparina a basso peso molecolare.
Io pero’ ho rifiutato, adducendo come scusa che nella nostra casistica l’embolia polmonare e’ rarissima, e che ho problemi di approvvigionamento del farmaco.
E’ vero! Le eparine a basso peso arrivano dall’Italia e spesso non ne abbiamo... ma il fatto e’ che in questi giorni in magazzino ne avevo un numero sufficiente almeno per due o tre pazienti.
Ora, con il senno di poi, mi rendo conto di quanto io sia stato stupido: vorrei che la macchina del tempo esistesse. Vorrei riavvolgere il nastro e tornare sui miei passi.
Ma lo so che e’ impossibile.
Io rimango con il mio senso di colpa, e quella famiglia rimane nel lutto a causa mia.
Questa e’ comunque una lezione che mi voglio attaccare all’orecchio: cosi’ come il Diprivan non si trova in Kenya, ma riesco piu’ o meno ad averne sempre con regolari approvvigionamenti dall’Italia, lo stesso dovra’ avvenire per le eparine a basso peso molecolare.
Non voglio piu’ avere sulla coscienza la vita di persone che avrebbero potuto sopravvivere se le avessi messe in profilassi.
Mi rimarra’ la paura dell’emorragia ogni volta che prescrivero’ quel farmaco nel post operatorio... ma lo faro’, perche’ ora l’evidenza mi ha indicato che non basta dire: “non e’ mai successo”, per far si’ che un problema di fatto non si presenti ... e quando capita, e’ troppo tardi.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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