sabato 18 dicembre 2010

Domande… risposte….

In questi giorni sono state pubblicate sul blog alcune meste, dolenti lettere di Fr.Beppe, con racconti di malati gravissimi che, nonostante con tutti gli sforzi fatti, sono morti.
Come ogni Medico di coscienza Fr. Beppe si è posto due domande:
1) Ho fatto tutto quello che era in mio potere per salvare quella vita?
2) Questo malato si sarebbe salvato in un altro “mondo”, per esempio in un Ospedale moderno come il Cottolengo di Torino?
Vorrei rispondere io al posto di Fr. Beppe: alla prima domanda, conoscendolo, sapendo come lavora e come si impegna, rispondo: SI
Alla seconda risponderei: forse SI, probabilmente in molti casi SI.
Nasce, a questo punto, una terza domanda assolutamente retorica: i malati di Chaaria hanno i nostri stessi diritti alla salute? Ovviamente Si ed è questo uno tanti motivi, religiosi, solidaristici, etici, che deve spingere la nostra Associazione ad essere sempre più presente ed efficace; non ci devono interessare i motivi storici, geografici, politici, culturali che hanno creato questa disparità, ormai ci siamo dentro con la testa, con il cuore, con le mani.
Vorrei però ricordare e ricordarci che, a bilanciamento della tristezza e del senso di sconfitta per ogni malato che muore, tutti i giorni e spesso tutte le notti a Chaaria, zampillano nuove vite, nascono bimbi e la loro nascita nella modesta sala parto dell’Ospedale assomiglia maggiormente quella lontana di un bimbo in una stalla che a quelle nei nostri Ospedali scintillanti di acciaio e luci violente.
Caro Beppe ti mando un abbraccio.

Max Albano


1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Max,
la tua amicizia ed il tuo sostegno mi sono di grande aiuto. Ti sento fratello. Ciao e grazie. Beppe


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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