Sono le 5.30, ed il cercapersone mi sveglia improvvisamente, strappandomi dalle braccia di Morfeo, in cui ero caduto da pochissime ore, a causa di un’altra emergenza la sera tardissimo.
Evanjeline esprime la sua sentenza in modo lapidario: “Cesareo. Donna con pregresso cesareo un anno fa!”.
Parte la routine delle emergenze, dopo una veloce sciacquata al viso con acqua gelata. Chiamo Antonio, che si sveglia di soprassalto.
La speranza che nutro e’ quella di un’operazione non complicata, che magari ci permetta anche di andare a Messa in parrocchia.
Sono il primo ad arrivare in ospedale, e chiedo ad Evangeline di portare la paziente in sala... ma ecco che iniziano i problemi.
La donna perde i sensi mentre la spostiamo dalla barella.
La stendiamo sul pavimento e cerchiamo di misurare una pressione, che e’ comunque imprendibile.
Guardo velocemente la congiuntiva, e mi sembra che la donna sia anemica come un lenzuolo. La nostra adrenalina sale alle stelle.
Trasportiamo la malata in sala, mentre cerchiamo sia di infondere liquidi che di trasfondere sangue. In frigo infatti abbiamo una sacca che possiamo usare! Ma le difficolta’ non cessano.
La cannula e’ fuori vena, e la paziente e’ collassata. Facciamo fatica a trovare un altro accesso venoso. Miracolosamente riesco a “prendere” la giugulare interna, attraverso cui infondiamo prima fisiologia a go go, e poi sangue.
Finalmente reperiamo anche un secondo accesso periferico, che usiamo per darle altro “Ringer”.
Tento la spinale con la paziente sul fianco, ma i miei tentativi sono infruttuosi.
Dopo aver bucato la donna per un numero di volte che non riesco neppure a ricordare, mi devo arrendere ad un altro incubo. Dovremo ricorrere alla generale.
Jesse non c’e’, e dovro’ guidare Antonio nella somministrazione della ketamina... sempre sperando che non succedano complicazioni piu’ gravi, come il temuto arresto respiratorio.
Apriamo la pancia velocemente, mentre Antonio somministra i farmaci con circospezione. Sappiamo che la situazione e’ critica, e possiamo perdere l’operanda in ogni momento.
La paziente pero’, fortunatamente respira e risponde ad una bassa dose di anestetico. Bisogna comunque correre perche’ il monitor e’ continuamente in allarme: la pressione rimane imprendibile, nonostante trasfusione ed infusione veloce di fluidi.
Lavoriamo con tensione ma con ordine.
Fr Giancarlo e’ “secondo”, ed Evanjeline strumentista.
Appena aperto il peritoneo, ci rendiamo conto della causa del collasso cardiocirolatorio della mamma.
C’e’ sangue in addome... tanto sangue! Ne veniamo invasi dalla vita in giu’ in quanto l’aspiratore non riesce a recuperalo in tempo prima che si riversi sul pavimento.
L’utero e’ rotto ed il sacco amniotico sporge dalla ferita chirurgica. L’estrazione del bimbo, dopo l’apertura delle membrane, e’ immediata... ma ci rendiamo conto che non ci sono segni di vita in lui.
La tristezza e la depressione rifanno capolino nel mio cuore, ma l’allarme quasi impazzito del monitor che mi segnala la persistente assenza di pressione arteriosa, mi richiama alla realta’.
Non c’e’ tempo per autocommiserazioni (magari il neonato sarebbe vivo se avessi “beccato” la spinale al primo colpo... se la vena non fosse stata fuori!): guardo il sangue che ancora fluisce libero nel deflussore verso la giugulare interna della donna, e mi riprendo: “ ci dobbiamo concentrare sulla mamma; se no, perdiamo anche lei!”.
Fortunatamente la rottura e’ avvenuta sulla rima della precedente cicatrice chirurgica. Si tratta di una lacerazione lineare che non ha raggiunto importanti vasi arteriosi. Si puo’ quindi riparare l’organo evitando un’ isterectomia d’urgenza, che sarebbe un disastro per quella mamma... ed un incubo per noi, date le condizioni del nostro staff.
Lavoriamo in silenzio, quasi meditando sulla morte del bimbo e continuando a sperare che la pressione risalga.
Antonio gestisce l’anestesia senza grossi ‘singhiozzi’, e noi giungiamo presto alla cute.
Mentre medichiamo la ferita addominale, per la prima volta il monitor ci avvisa che la “massima” e’ arrivata a 80... e che quindi ci sono speranze.
La donna si sta svegliano, in preda a incubi che solo lei conosce. Bisogna tenerla ferma in quattro, perche’ non si strappi la giugulare.
La laviamo e la portiamo a letto. mentre e’ ancora in uno stato di sopore ora piu’ tranquillo.
La prima cosa a cui pensare e’ adesso una doccia. Siamo imbrattati di sangue dalle ginocchia in giu’.
Ma subito mi ricordo di una cosa importantissima: “oggi dovremo trasfondere un’altra sacca, magari chiedendola in prestito ad un altro paziente piu’ stabile, perche’ il suo gruppo e’ zero positivo, e non ne abbiamo altro in emoteca. La cosa piu’ dura, anche se necessaria, sara’ quella di dirle che il feto non ce l’ha fatta”.
“Ma perche’ e’ morto il bambino?” mi chiede Evanjeline.
“Quando si rompe l’utero, la pressione della donna crolla, e la perfusione placentare va praticamente a zero, causando ipossia ed asfissia nel nascituro. E’ molto raro riuscire a salvare il bambino, nei casi di una breccia uterina di queste dimensioni. E’ gia’ tanto che la madre sia viva. Infatti pure la mortalita’ materna e’ altissima per tale complicazione”.
Fr Beppe Gaido
PS: I NUOVI ARRIVI
Ringraziamo di vero cuore le nuove volontarie, per la maggior parte “plurirecidive”:
1) ringraziamo sinceramente Lorena, la veterana del gruppo, che rientra a Chaaria per la sua quarta esperienza, e si dedica con amore al servizio presso i Buoni Figli;
2) grazie all’infermiera professionale Milena che ritorna per la terza volta, e si dedica ai pazienti piu’ gravi del reparto di medicina generale.
3) grazie a Roberta, OSS alla sua prima esperienza a Chaaria, la quale collabora attivamente e con grande entusiasmo al servizio del malati del nostro “general ward”.
Che Dio benedica e ricompensi i nostri volontari.
Fr Beppe
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