sabato 26 febbraio 2011

La festa in mio onore

Non me la aspettavo, ed e' stato un colpo quando stassera ho visto il refettorio adornato nel migliore dei modi con striscioni e palloncini.
E' stato stupendo avere attorno a me i confratelli, le suore, i volontari ed anche i sacerdoti della parrocchia... e don Giulio da Camp Garba.
Mi sono commosso quando ho ringraziato tutti, a cominciare dal Superiore Fr Roberto Trappa, per continuare con tutti i confratelli, le consorelle ed i volontari: il grazie piu' grosso mi son sentito di dirlo a Dolores ed Angela che anche oggi hanno lavorato tantissimo per preparaci una cena degna del migliore ristorante italiano.
Quando ho tentato un discorso mi e' venuto un nodo alla gola, ma ho cercato di sottolineare il fatto che il premio "Scuola Medica Salernitana" io l'ho ricevuto a nome di Chaaria e della Piccola Casa, perche' la nostra testimonianza nel servizio del malato non sarebbe possibile senza la collaborazione di tutti. L'ospedale non sono io, ma siamo tutti noi che ci lavoriamo e per esso sudiamo, fatichiamo e speriamo. L'ospedale poi esiste perche' i Superiori della Piccola Casa ci credono e lo sostengono... quindi il premio e' anche loro, ed e' ricevuto a nome della Picccola Casa.
Ho sottolineato il fatto che il premio, nella mente dei magnifici professori di Salerno, voleva essere un incoraggiamento per i giovani neolaureati a vedere sempre la medicina come un servizio, e non come una carriera; un servizio ed una missione dove il malato e' sempre al centro.
Il premio quindi dimostra che anche oggi in Italia valori come dedizione, sacrificio, altruismo, donazione hanno ancora un senso e possono tuttora ispirare e portare buon esempio.
Grazie di nuovo a tutti coloro che stasera mi sono stati vicini con questa festa inaspettata, e per questo ancor piu' commovente.

Fr Beppe Gaido



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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