domenica 20 marzo 2011

Una Via Crucis per i nostri giorni

“GESU’ CADE PER TRE VOLTE SOTTO IL PESO DELLA CROCE”

CONTESTO BIBLICO
“ Affaticato per le percosse, reso debolissimo dal digiuno e dal sangue che abbondante fluiva dalle ferite lasciate dai flagelli e dalla corona di spine, Geu’ soccombe per ben tre volte sotto il peso della croce... Ma non rimane a terra, e con grandissima forza di volonta’, si rialza ogni volta”.

ATTUALIZAZIONE
Anche oggi tanti “poveri Cristi” cadono a terra sotto il peso di una croce che sembra troppo grande per le loro spalle, e troppo pesante per le loro forze.
A volte anche a me pare che la croce che il Signore sceglie per me sia troppo gravosa, ed ho la tentazione di dire che non ho la forza di rialzarmi; spesso mi sento demotivato e lo scoraggiamento (che e’ il seme del diavolo, secondo i Padri della Chiesa) fa capolino nella mia anima.
Oggi per esempio mi sono svegliato con l’umore sotto i tacchi e con un senso di depressione e di fallimento: a volte hai la sensazione che quanto piu’ ci si impegna, tanto piu’ il prossimo paia ignorare quello che facciamo per loro, per poi attaccarci ancora, e spalmarci un po’ di fango sulla faccia.
Oggi la tentazione dello scoramento e’ in me molto forte, ed e’ cosi’ profonda che mi attanaglia la gola e rende il mio cervello lento ed impastato. Vorrei sdraiarmi sulla barella di room 17, chiudere la porta a chiave, spegnere la luce e rimanere inerte guardando il soffitto.
Eppure non e’ possible: me ne rendo conto che devo lavorare e che bisogna aiutare gli altri... ma in questo momento faccio fatica a ritrovare le motivazioni.
Mi sembra di essere caduto a terra, come Cristo sotto la croce, e mi pare che non potro’ assolutamente rialzarmi a causa delle mie sofferenze.
Se la mia vita fosse una partita di “battaglia navale”, oggi mi dichiarerei “colpito ed affondato”
Certo, lo devo fare per Dio, che tutto vede e non si lascia certo impressionare da cio’ che dice la gente: Lui sa vedere anche sotto lo strato di fango che a volte ci viene spalmato addosso; Lui e’ anche capace di togliere il bollo che spesso ci ha marchiati e classificati.

Ma la mia poca fede in questo momento chiede anche un segno da Dio.
Chi sara’ il Cireneo che mi aiuta a portare la croce?

Ed il Signore ha risposto alla mia richiesta, facendomi comprendere ancora una volta che i miei Cirenei sono i malati, e che il segreto per portare la croce sta nel considerare che “c’e’ sempre qualcuno che soffre piu’ di noi”.

Fin da stamane continuavo a chiedermi che senso ha lottare e stancarsi fino allo sfinimento, e la risposta e’ arrivata verso mezzogiorno: era una giovane donna, minuta, di nome Esther. E’ arrivata in barella perche’ collassava ogni volta che tentava di mettersi in piedi. La sua fronte era imperlata di sudore freddo. Ho misurato la pressione, ma non si e’ sentito nulla.
L’ho fatta portare in ambulatorio, e mentre la preparavamo per l’eco, ho notato una cicatrice sulla pancia:
“Quanti hanni hai?”
“Diciannove”, ha risposto con voce flebile.
“Hai figli? Che tipo di intervento hai subito?”
“Non ho bambini… si e’ trattato di un intervento per gravidanza extrauterina”.
Non ho risposto, ed ho messo la mano sul suo addome. Era dolentissimo, e la donna saltava ad ogni mio tentativo di premere un po’. Mi sono quindi focalizzato sulle congiuntive: era davvero pallida. Ho provato a percuotere la pancia, ed ho sentito un gorgogliare di fluido che si stava muovendo.
Immaginavo gia’ di cosa si trattava ma ho deciso di trattenere le mie fantasie e di lasciar parlare la sonda ultrasonografica. Purtroppo la diagnosi si e’ presentata immediatamente, ed e’ apparsa veramente spietata: era chiaro che si trattava di una nuova ectopica, nell’unica tuba che era rimasta ad Esther.
La malata intanto peggiorava ed ora era quasi incosciente. Era chiaro che l’emorragia interna era massiva. Abbiamo quindi trasfuso in fretta e furia una sacca di sangue e poi siamo entrati in sala con procedura di emergenza.
Mentre mi lavavo e mi preparavo all’intervento, continuavo a sperare di estrarre il prodotto del concepimento e di poter riparare la salpinge.
Abbiamo operato sotto ketamina, perche’ la spinale avrebbe ulteriormente peggiorato l’ipotensione: e’ stata un’ anestesia difficile, con la paziente che ha smesso di respirare due volte. Il sangue raccolto in cavita’ addominale era moltissimo, e facevamo fatica ad aspirarlo. Il pavimento della sala era inondato, ed io non riuscivo a trovare la tuba a causa dei fiotti di sangue che emergevano dalla breccia operatoria come da un idrante rotto.
Poi, quando finalmente sono riuscito a mettere una klemmer nel punto giusto, il torrente ematico si e’ arrestato di colpo. Jesse ha continuato a infondere sangue, usando anche lo spremisacca per fare prima. Le condizioni generali pian piano si sono normalizzate, ed abbiamo cosi’ potuto riflettere un momento. La tuba era letteralmente scoppiata insieme al sacco ovulare; tutto intorno alla lacerazione si presentava necrotica. Abbiamo rimosso il prodotto di concepimento ormai morto da tempo, e poi abbiamo tentato di suturare quello che rimaneva della salpinge. Ma ogni volta che provavamo a cucire, il filo tagliava il tessuto “marcio” e causava una nuova emorragia.
Pressati anche da Jesse che ci chiedeva di “chiudere” in fretta a causa delle gravi condizioni della donna, siamo stati forzati verso l’inevitabile: abbiamo dovuto accettare la realta’. L’unica via di uscita era di asportare la salpinge, con la consapevolezza che avremmo causato ad Esther, che e’ nullipara ed ha diciannove anni, una sterilita’ permanente che forse le potra’ causare un divorzio e quasi certamente le precludera’ ogni possibilita’ di risposarsi.
Non abbiamo potuto chiederle il consenso, perche’ lei dormiva e forse sarebbe stata incosciente ancora molte ore dopo l’operazione a motivo dell’ipotensione e dell’anemia.
“Che responsabilita’ davanti a Dio… eppure non posso mica rischiare di riparare una salpinge che poi le causera’ una nuova emorragia interna, quasi certamente mortale”.
Ho quindi deciso di relegare questi dubbi nel profondo del mio cuore, di affondare due klemmer nel legamento largo, di tagliare e poi suturare. Ho controllato il campo operatorio e lavato abbondantemente con soluzione fisiologica. Non saguinava piu’. Abbiamo chiuso in fretta il peritoneo, prima che la malata si mettesse a spingere e ci desse problemi con le anse intestinali.
Quando ho visto la donna dopo l’operazione, mi sembrava una bambina. Era ancora addormentata, ed una nuova sacca di sangue scendeva stavolta lentamente. Ho pensato con un brivido al momento in cui le dovro’ dire che non potra’ piu’ avere figli.
“Queste comunicazioni sono la parte peggiore del nostro lavoro”, ho confidato con amarezza ad Ogembo.

PREGHIERA
Signore, aiutami sempre a guardare a chi sta peggio di me. Aiutami a non fare la vittima. Paragonata al dolore di molti “poveri Cristi”, la mia croce non e’ poi cosi’ pesante da non permettermi di rialzarmi.
Dammi sempre la grazie di cogliere i Tuoi messaggi nelle vicende di ogni giorno.
Signore, non e’ che il dolore provato poche ore fa sia passato del tutto, ma la vicenda di Esther mi ha aiutato a mettere ogni cosa nella prospettiva piu’ corretta: ha senso lottare… ce l’ha sempre. Esther ha una croce ben piu’ pesante della mia... ma, nonostante tutto, e’ ancora viva! Per Esther e’ stato importante che ci fossimo, prima che per lei fosse troppo tardi… Signore, non devo fare la vittima. C’e’ tanta gente che sta molto peggio di me. Anche Esther dovra’ rialzarsi pian piano, pur rischiando di essere ripudiata, additata a vista come una donna sterile e quindi inutile; dovra’ rialzarsi pur portandosi addosso una condizione che la bollera’ per sempre: che diritto ho quindi io di lamentarmi e di pretendere che la mia croce sia troppo pesante?

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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