martedì 3 maggio 2011

Un colloquio interiore con San Giuseppe Cottolengo

“Caro Padre Fondatore,
prima di tutto vorrei farti tanti auguri per il tuo compleanno. Me lo ricordo bene sai che sei nato il 3 maggio 1786. Eh caro Padre, gli anni passano, ma il tuo messaggio rimane sempre attuale, ed estremamente moderno.
Oggi ho una tristezza di fondo che vorrei condividere con te: mi hanno detto che corro il rischio di essere solo un BIANCO che lavora tanto, ma che non da’ alcuna testimonianza religiosa. Hanno insinuato in me il dubbio che il mio lavoro non venga percepito come missionario, e che alla fin della fiera io sia solo visto come un professionista a prezzi stracciati. Che ne dici?”
Mi sono sentito compreso dal Cottolengo, e poi, ad un certo punto, ho avvertito nel cuore alcune sue parole interiori, che mi sono calate nel cuore come un balsamo:
“Non farti troppi problemi e non entrare in inutili paranoie: la tua testimonianza e’ percepita da tutti come spirituale e religiosa; anzi, forse il tuo e’ il modo piu’ diretto di testimoniare il Vangelo. Non predichi, non dai precetti, non comandi, ma spendi la tua vita dal mattino alla sera (e spesso per gran parte della notte) cercando di essere sempre disponibile a chi ha bisogno di guarigione e di sostegno anche psicologico.
Una vita come la si vive a Chaaria non e’ possibile senza una forte motivazione spirituale, e questo la gente lo comprende benissimo. Tutti sanno quale sia la differenza tra te ed un medico che lavora solo per soldi. Ognuno si rende conto che, se tu non fossi un religioso, non potresti essere di guardia tutti i giorni e tutte le notti ormai da oltre 10 anni... avresti altre cose da fare, altri interessi! La carita’ ed il servizio incondizionato ti definiscono per quello che sei. Non c’e’ bisogno che tu porti lunghe vesti o pesanti crocifissi al collo per far conoscere la tua identita’, perche’ la tua divisa, il tuo abito e’ la carita’ che vivi tutti i giorni, con fatica ma con impegno, con tanti sbagli ma anche con la voglia di ricominciare e fare meglio.
Lo so che la gente ti chiama DAGITARI, ma so anche che sono perfettamemente coscienti del fatto che sei anche un Fratello: se non lo fossero, non verrebbero a cercarti il sabato pomeriggio o la domenica, perche’ si renderebbero conto che anche il piu’ bravo dei dottori, durante il week end pensa alla sua famiglia.
Per cui sii sempre persuaso che la tua preghiera non e’ solo in cappella, ma e’ anche in ospedale ogni volte che consumi le tue giornate cercando di aiutare e di essere buono con tutti. C’e’ chi non lo capisce subito, ma alla fine, una vita spesa parla anche ai piu’ duri di cuore”.
“Caro Padre Cottolengo, le tue parole interiori mi hanno fatto tanto bene, e danno anche luce a quanto mi e’ successo proprio oggi. Infatti, mentre entravo in ospedale, mi sono sentito chiamare forte: ‘Padre! Padre! Per favore, stiamo ancora aspettando per l’ecografia e dobbiamo ritornare a Marsabit. Per piacere, considera il fatto che arriviamo da molto lontano e facci passare prima degli altri’.
Mi sono girato ed ho visto un gruppo di persone dalle caratteristiche somatiche etiopi. Gli uomini avevano tutti lo zucchetto islamico, sgranavano il rosario musulmano tra le dita e vestivano lunghi camicioni bianchi come la neve. Le donne invece erano completamente coperte di nero e mi scrutavano con occhi penetranti attraverso la fessura del chador.
‘Faro’ del mio meglio per fare in fretta’...avevo risposto.
Poi mi ero avviato alla room 17, e pensavo tra me e me che non stavo indossando alcun segno esterno di carattere religioso; anzi, nella fretta solita, ero gia’ in una divisa verde da sala operatoria... eppure questi pazienti di religione islamica non hanno avuto dubbi nell’identificarmi come un consacrato, anche se per loro non e’ facile capire la differenza tra un Padre ed un Fratello.
Penso proprio che tu, caro Cottolengo, nella tua saggezza di Santo, abbia profondamente ragione; questa e’ la mia missione: servire i malati senza riserve... questa e nient’altro. Il resto i pazienti lo capiranno da soli.
Grazie caro Padre, e buon compleanno ancora”.

Fr. Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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