domenica 5 giugno 2011

Fr Giovanni Bosco Burdino

Oggi, solennita' dell'Ascensione del Signore, abbiamo anche ricordato Fr Giovanni Bosco nel sesto anniversario della morte. Lo abbiamo fatto durante una stupenda Messa in ospedale, celebrata dal cottolenghino Padre Costanzo Ngatia, ed animata in modo magistrale dai canti del nostro staff.
Alla Messa era presente tutta la famiglia cottolenghina. Infatti, c'erano i Fratelli, le Suore, i Sacerdoti cottolenghini nella persona di don Costanzo, i volontari nella persona di mia mamma e di Pierantonio, i Buoni Figli, i membri dello staff... e poi tantissimi ammalati.
Abbiamo pregato Gesu' che ascende al Padre di rimanere sempre con noi, e di aiutarci a portare il peso della croce, fino al giorno in cui anche noi saremo con Lui in Paradisco.
Abbiamo anche commemorato alcuni elementi salienti della figura di Fr Giovanni Bosco Burdino, il primo Fratello cottolenghino a morire ed essere sepolto in terra d'Africa.
Qui di seguito ripropongo quanto scrissi a botta calda i giorni immediatamente seguenti la sua improvvisa dipartita. Spero di far cosa gradita a chi lo ha conosciuto... e di riuscire a far intuire qualcosa della sua stupenda personalita' a chi non ha avuto la fortuna di incontrarlo. Ecco il testo di sei anni fa:

Carissimi amici,
è difficile per me provare a scrivere qualcosa del nostro indimenticabile Fr. Giovanni Bosco. Troppo vivo è il ricordo di lui e così forte il senso di smarrimento che ancora sento in me.
Non intendo scrivere la sua biografia. Altri lo sapranno fare meglio di me. Io lascio parlare il cuore e condivido con voi alcune suggestioni che spero vi facciano piacere e vi aiutino a ricordarlo con l’affetto che lui merita. Il mio cuore è ancora gonfio e mi viene da piangere ogni volta che mi balza alla mente qualcosa di lui; normalmente qualcosa di bello, perché di lui non ho brutti ricordi.
Ho conosciuto Giovanni quando ero ancora un aspirante, nel lontano 1980. Era sempre molto preoccupato per me e voleva che mangiassi di più perché ero troppo magro. Egli era convinto che la vocazione si misurasse a chili e, siccome a quei tempi il mio peso non superava i 55 Kg., mi diceva che avevo poca vocazione e che la terapia adatta per il rinforzo della mia chiamata sarebbe stata a base di budino al cioccolato.
Poi ci siamo un po’ persi di vista, a parte qualche vacanza insieme al Grand Puj, dove alternavamo camminate sulle vette a mangiate luculliane a base di torte e pasticcini.
Ci siamo ritrovati in Kenya ed è a Chaaria che ho davvero conosciuto ed apprezzato questo grande Fratello.
Era un uomo veramente gioioso nel profondo del proprio cuore: cantava di continuo e vedeva sempre il lato positivo delle situazioni. Giovanni era una figura davvero importante nella comunità perché sapeva ridere e far ridere e, nei momenti di tensione, sapeva sempre sdrammatizzare. Egli non sapeva tenere il muso e con lui ci si riconciliava subito, anche senza bisogno di parole. Si capiva benissimo che ti aveva perdonato perché, immediatamente dopo lo screzio, discorreva con te con la serenità di sempre. Parlava sempre bene di tutti, nessuno per lui era cattivo; aveva un’interpretazione positiva per qualunque cosa gli capitasse intorno.
Forse questa caratteristica gli derivava dalla sua profonda vita interiore: era un uomo di costante preghiera. Era sempre presente agli atti comunitari e trovava ampi spazi per la preghiera personale durante il giorno. Amava molto pregare il rosario, anche quando si trovava fuori dalla comunità, magari per una scampagnata con i bimbi della parrocchia, con i Buoni Figli o con i volontari italiani. Aborriva le celebrazioni sontuose, soprattutto se si trattava di eccessi di predicazione o di esagerazioni nei canti o nelle danze liturgiche; sapeva esprimere questo disappunto, leggendosi un libro durante l’interminabile celebrazione o addirittura lasciando la chiesa per andare a ritirarsi nella silenziosa cappella dei Fratelli, dove poteva trovare un clima più consono alla sua contemplazione.
La sua grande passione, però, era la lettura: Giovanni, infatti, leggeva sempre, leggeva di tutto e leggeva a velocità supersonica. Da tempo ormai aveva preso l’abitudine di venire da me e di chiedermi di consigliargli un buon libro di lettura spirituale: la cosa all’inizio mi risultava facile ed anche gratificante ma ben presto è diventata molto difficile, perché egli terminava il testo da me consigliato in non più di 3-4 giorni. E quando verificavo se lo avesse letto davvero o se mi volesse solo impressionare, mi rendevo conto che ne conosceva il contenuto quasi a memoria.
Fr. Giovanni Bosco è stato un vero Salesiano nel cuore, oltre che un autentico Cottolenghino. Con questo intendo sottolineare il suo tenero amore per i bambini, a cui dedicava le sue attenzioni e tutto il suo tempo libero domenicale: Giovanni, infatti, usciva tutte le domeniche con i ragazzi, facendo due escursioni: la prima era in macchina, in modo da poter portare fuori anche alcuni Buoni Figli; la seconda, poi, era a piedi, verso qualche angolo di natura incontaminata, come una collina, un fiume o una cascata. Quando usciva per la seconda passeggiata vestiva rigorosamente la maglietta del suo “Toro”, di cui era appassionato tifoso, e dietro di lui si snodava una fila di almeno 30 bambini di età compresa fra i 5 ed i 12 anni. Lo seguivano perché nella sua borsetta c’era sempre un pallone e qualche leccornia che Giovanni aveva sottratto alla mensa comunitaria, sempre con i dovuti accordi con il Superiore.
E’ sintomatico che la tragedia che ce lo ha tolto per sempre sia successa di domenica, durante un’uscita a piedi con i suoi bambini. Ciò che rimane un mistero è che Dio lo abbia chiamato in questo modo così tragico, sotto gli occhi sconvolti dei suoi ragazzi, proprio il 5 giugno, giorno del suo compleanno.
Nessuno dei bimbi lo chiamava per nome: tutti lo conoscevano come “AMICO”. Questo era diventato il suo appellativo e, per così dire, la sua seconda natura: realmente egli era l’amico dei giovanissimi e dei deboli mentali.
Con i nostri Buoni Figli spendeva del tempo a chiacchierare e a giocare a dama, oltre che passeggiare. Li accoglieva come suoi figli e spesso li chiamava “i miei padroni”.
Giovanni era un Fratello poliglotta e amava le lingue con tutto se stesso. Parlava correntemente l’Inglese ed era in effetti il traduttore ufficiale della Congregazione. Amava tale lingua al punto da arrabbiarsi ogni volta che non veniva usata correttamente, sia nei dialoghi che negli scritti.
Conosceva abbastanza bene anche il Francese e questo gli nutriva nuove fantasie missionarie, pensando al prossimo viaggio dei Superiori in Benin. Inoltre studiava con perseveranza il Kiswahili, che ora riusciva anche a leggere seppur non ancora a parlare. La sua passione, però, non si arrestava qui: stava infatti studiando un po’ di Spagnolo ed un po’ di Russo.
Subiva un fascino irresistibile per il Latino ed il Greco e conosceva molto della cultura classica.
Appassionato di storia e letteratura, poteva discutere liberamente anche con i volontari più colti, che sempre restavano colpiti dalla sua capacità di passare dalla “Divina Commedia” alla storia delle orde dei Tartari guidate da Gengis Kan.
Ma Giovanni era anche un matematico e con passione studiava e ristudiava i vari teoremi della geometria e della trigonometria che tutti noi abbiamo completamente rimosso dopo la fine del Liceo. Tale passione per la matematica lo ha sostenuto nel compito di economo della Missione: egli ha sempre controllato entrate ed uscite della comunità con precisione certosina, senza mai usare la calcolatrice, che egli riteneva un abominio. Suo unico sostegno era il “regolo calcolatore” che portava con sé dai tempi della scuola superiore.
E che dire della musica? Giovanni amava ogni tipo di musica, da quella classica a quella più moderna. In cappella era l’animatore di cori a più voci che spesso ricordavano atmosfere da Cappella Sistina. Con Giovanni si cantava sempre e si cantava di tutto: in chiesa si passava dal Gregoriano ai canti tradizionali Bantu, dal Gen Rosso a Frisina. Fuori, soprattutto nei momenti di svago con i volontari, si spaziava da Battiato alle canzoni tradizionali napoletane, fino ad arrivare alle “Litanie di Bacco” nei momenti particolarmente solenni.
Fr Giovanni era un amante dello sport, particolarmente del calcio. Appassionato tifoso del “Toro”, soffriva per ogni sconfitta che spesso costellava il cammino dei “Granata”. Però, se per caso perdeva il Milan, io sapevo già che in cappella alla domenica sera, nel bel mezzo dell’adorazione, lui si sarebbe avvicinato al mio orecchio per dirmi: “condoglianze!”.
Inoltre gli piaceva il gioco delle carte, degli scacchi e del ping pong. Queste sue attitudini lo hanno reso l’animatore dei nostri brevi momenti di ricreazione comunitaria. Egli era il motore trainante e noi tutti beneficiavamo delle sue iniziative in quei venti minuti di svago dopo cena.
Questo suo carattere lo ha reso molto accetto a tutti i volontari, che spesso andavano fuori con lui la domenica a conoscere le altre missioni cottolenghine o per una visita alla foresta di Mukululu o agli street boys di Mujwa. A tutti quanti mancherà Giovanni, personalità multiforme, semplice ma simpaticissima.
Di lui desidero ricordare l’umiltà. Sceglieva sempre l’ultimo posto, non voleva mai apparire. Sapeva sempre adattarsi alla compagnia: era capace di essere piccolo con i Buoni Figli, giovane con i provandi ed i volontari, pacato con i Confratelli più anziani.
Per sé desiderava uno stile di vita povero, che si accontentasse sempre di poche cose, soprattutto nel vestire e nell’apparire. Era un uomo che sapeva vivere all’essenziale.
Non voleva mai disturbare: quasi si scusava se a volte aveva bisogno di chiedere dei soldi per qualche esigenza personale. Proprio il giorno precedente alla sua dipartita, commentando la lunga sofferenza di un prete gravemente ammalato, Fr. Giovanni commentava in comunità: “Spero solo che io non debba disturbare nessuno quando sarà la mia ora. Chiedo al Signore una morte veloce, che non dia problemi ai miei Confratelli”. Ed è stato proprio così: se n’è andato così rapidamente che non ci pare ancora vero. Tutti pensavano che ad ucciderlo sarebbe stato il diabete, vista la arcinota intemperanza nel consumo di dolci; ed invece sono state le api, le produttrici di quel miele che Giovanni tanto amava.
Di lui non si potrà mai dire tutto. Era così scoppiettante e vivace che ognuno di voi potrà aggiungere qualche bel ricordo personale. Penso comunque che il funerale sia stato l’epilogo più adatto alla sua vita buona: tutti gli volevano bene e lo hanno dimostrato venendo a migliaia a porgergli l’ultimo saluto. Ma i suoi prediletti erano i bimbi, che sono intervenuti a centinaia, da tutte le scuole primarie del circondario. Per lui tutti hanno pregato, hanno buttato una manciata di terra sulla sua bara, hanno piantato un ramoscello verde sulla tomba. I bambini, poi, hanno intonato un lungo canto di addio, mentre i Fratelli lo calavano sotto terra.
E’ stata una funzione mesta ma anche gioiosa; una Messa ricca di canti, come Giovanni avrebbe certamente apprezzato. Le letture erano quelle di San Giuseppe Cottolengo e Giovanni ancora si è sentito ripetere: “Vieni, benedetto del Padre mio, perché ho avuto fame e mi hai dato da mangiare … Eh sì, perché tutte le volte che hai fatto questo per un “Buon Figlio” o per un bambino povero, orfano o abbandonato, lo hai fatto a Me”.
Al suo funerale non c’erano fiori, né ci sono stati i tradizionali e lunghi discorsi delle autorità politiche e religiose. Questo per espresso volere di Fr. Giovanni che non avrebbe tollerato che si spendessero soldi in fiori che poi sarebbero appassiti in due giorni; o che si dicessero tante parole su di lui, che si è sempre considerato un piccolo “servo inutile del Vangelo”.
Fr. Giovanni è stato tumulato nel cimitero di Chaaria, vicino ai Buoni Figli e ai tanti bambini e adulti senza nome, morti nel nostro ospedale.
E’ il primo missionario cottolenghino ad essere tumulato in terra di missione, dopo il ritorno della Piccola Casa in Kenya nei primi anni ‘70.
Anche in questo modo crediamo che la sua presenza continuerà ad essere per noi incoraggiamento a perseverare nel bene, ad amare tutti, ad essere sempre allegri nel Signore.
Fr Giovanni ci mancherà molto, e ciò che ci consola è pensarlo felice in Paradiso

Fr Beppe Gaido. Chaaria.


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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