sabato 4 giugno 2011

Aborti

Oggi a Chaaria ho sperimentato ancora una volta la dolorosa piaga degli aborti clandestini: ho ricevuto due ragazzine sui 16 anni, entrambe con dolori addominali gravi e sanguinamento genitale. Entrambe negavano la gravidanza, ma l’ecografia ha dimostrato per tutte e due un feto morto in utero, di età gestazionale sui 4 mesi.
La visita ginecologica ci ha permesso di estrarre un piccolo rametto dalla cervice uterina delle sventurate, che si erano rivolte ad una fattucchiera per essere liberate da una gravidanza non voluta. Queste cosiddette “traditional midwives” non hanno alcuna preparazione medica. Esse inseriscono alla cieca un ramoscello di cassava direttamente nel collo uterino... operazione non sempre facile, e spesso risultante in lacerazioni e danni notevoli per future gravidanze.
Le ragazze pagano fior di quattrini per queste “operazioni”. La cassava, credo contenga qualche sostanza chimica che induce le contrazioni. Quando la paziente avverte i dolori del travaglio, deve quindi ritornare da colei che le ha inserito il rametto; deve farselo togliere e poi attendere il parto in qualche luogo segreto... naturalmente senza l’aiuto della fattucchiera, che non si sporcherebbe mai le mani con questo crimine.
Però, trattandosi di adolescenti, spesso esse perdono la testa ai primi sintomi di dolore addominale e corrono all’ospedale, dove noi regolarmente scopriamo il misfatto. Le più resistenti invece fanno tutto da sole, e magari poi vengono ricoverate dopo vari giorni per anemia in quanto continuano a sanguinare ma non possono dirlo a nessuno.
Ci sono delle “cliniche degli aborti” che operano nella totale illegalità. Normalmente si tratta di infermieri o di clinical officers che gestiscono dei dispensari privati. Ufficialmente non eseguono pratiche abortive e curano pazienti ambulatoriali, ma poi dietro le quinte fanno i soldi con le cose più oscene. Ho sentito di un posto dove gli aborti vengono eseguiti anche su gravidanze quasi a termine. Se poi il feto fosse vivo alla nascita, alla mamma viene consegnato un secchiello pieno d’acqua ed è la puerpera in persona che deve annegare il pupo... in un’altra clinica (e questo lo so dalla testimonianza personale di una donna che lo ha fatto, ed ora è mia paziente per disturbi depressivi) se il feto abortito ancora respira, alla madre viene consegnato un martello... ed è la paziente che deve finire il lavoro.
Ufficialmente il Kenya è uno dei Paesi con le leggi più severe in materia di interruzione volontaria della gravidanza, ma nel sottobosco assistiamo ad una vera epidemia.
Perchè tanti aborti clandestini?
Le ragioni sono complesse; da una parte c’è il dato che circa l’80% degli studenti delle scuole superiori, hanno già avuto la prima esperienza sessuale dopo la fine del secondo anno; dall’altra c’è il fatto che le scuole sono tutte a regime di “convitto”, per cui una ragazza incinta viene in genere dimessa, in quanto i professori non si sentono di seguirla mentre sta in dormitorio con le altre... Questo crea alla giovane grossi problemi con la famiglia, che ha fatto sacrifici enormi per farla studiare.
Per noi è comunque molto stressante dover assistere anche queste situazioni, magari dopo aver speso molto tempo a consolare una mamma che ha perso il figlio al parto, o un’altra che invece non riesce a concepire e che rischia per questo di essere ripudiata proprio a causa della sua sterilità.
Ciao, 

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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