Appena arrivato in “room 17” la mia attenzione viene richiamata dal muggire continuo di una mucca stanca, che proviene dalla sala di attesa. Mi affaccio dalla finestra e vedo un gruppo di persone vestite poveramente che si affanno attorno ad un carretto trainato appunto da un bovino. Vedo il guardiano correre con la barella e capisco che si deve trattare di un caso di maternità, perchè vedo quasi tutte donne, con l’eccezione di un emaciato signore che cerca di tener calmo l’animale, e rimane a distanza dalla malata. Decido di uscire a vedere, prima di tutto per poter capire dove dirigere la paziente, se in sala parto, o in ambulatorio, o direttamente in reparto. La barella mi passa vicino velocemente e mi rendo conto che è già tutta piena di sangue. Capisco che la situazione è una emergenza vera: chiamo i laboratoristi per il gruppo sanguigno e per la trasfusione urgente. Faccio mettere la paziente in sala travaglio, perchè lì abbiamo una buona barella ed una lucemercoledì 22 giugno 2011
La vita che sboccia dalla morte
Appena arrivato in “room 17” la mia attenzione viene richiamata dal muggire continuo di una mucca stanca, che proviene dalla sala di attesa. Mi affaccio dalla finestra e vedo un gruppo di persone vestite poveramente che si affanno attorno ad un carretto trainato appunto da un bovino. Vedo il guardiano correre con la barella e capisco che si deve trattare di un caso di maternità, perchè vedo quasi tutte donne, con l’eccezione di un emaciato signore che cerca di tener calmo l’animale, e rimane a distanza dalla malata. Decido di uscire a vedere, prima di tutto per poter capire dove dirigere la paziente, se in sala parto, o in ambulatorio, o direttamente in reparto. La barella mi passa vicino velocemente e mi rendo conto che è già tutta piena di sangue. Capisco che la situazione è una emergenza vera: chiamo i laboratoristi per il gruppo sanguigno e per la trasfusione urgente. Faccio mettere la paziente in sala travaglio, perchè lì abbiamo una buona barella ed una luceChaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.
Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.
Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.
Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.
Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.
E poi, andare dove?
Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.
Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.
Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.
Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.
Questo è quello che facciamo, ogni giorno.
Fratel Beppe Gaido
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