venerdì 21 ottobre 2011

La cordata

Siamo in tanti a credere e a lottare per un futuro più giusto a tutte le latitudini. E’ una specie di cordata in cui tutti siamo uniti: alcuni di noi sono direttamente presenti in Africa e si impegnano direttamente contro la miseria; altri fanno un lavoro non meno importante dall’altra parte della cordata: rimangono in Italia, ma sensibilizzano le masse, ci aiutano nella raccolta fondi e nelle attività di conoscenza e divulgazione. 
Noi, in Kenya, lavoriamo anche a nome di tutti coloro che con le loro attività ci procurano i fondi per tirare avanti ed incrementare le nostre strutture ed i nostri equipaggiamenti; voi in Italia ci aiutate a non provare solitudine, a sentirci parte di una rete di solidarietà che è ben più grande di Chaaria. 
Credo che l’Africa con le sue povertà sia un po’ la coscienza del mondo occidentale, una specie di pungolo interiore che non ci lascia dormire perché certamente renderemo conto a Dio della miseria che sistemi ingiusti di vita hanno creato a danno di milioni di nostri fratelli meno fortunati. 
La nostra società industrializzata corre il rischio di ricevere la stessa sorte del ricco del Vangelo che banchettava lautamente senza accorgersi del povero Lazzaro che giaceva malato e affamato alla sua porta. 
L’Occidente, come l’epulone del Vangelo, rischia di andare all’Inferno non perché possiede beni e ricchezze, ma perché non le sa condividere. 
Ecco quindi il grande ruolo della nostra rete di solidarietà che si deve allargare sempre di più, perché ha un ruolo terapeutico e redentivo per la nostra Europa. 

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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