domenica 20 novembre 2011

Dialogando in sala operatoria

Oggi e' domenica, e, come al solito, il fato ha voluto che ci fossero due cesarei urgenti. 
Mentre eseguo la prima operazione, questa mattina subito dopo la Messa, sento una vocina che mi chiama:"Daktari... Daktari!" 
Mi rendo conto che e' la paziente che parla con me, e sporgo la faccia al di la' dell'archetto che divide la zona sterile dall'area dell'anestesista. Penso che abbia problemi e non stia bene, e quindi immediatamente le rispondo: "Mamma... che cosa senti?" 
Gia' mi immagino conati di vomito, capogiri, o ad altre sensazioni di malessere... e nella mente predispongo i farmaci che avrei dovuto suggerire alla volontaria anestesista. Invece la donna continua: " Daktari... volevo ringraziare tantissimo Dio per tutta la conoscenza che ti ha donato, di modo che, con le cose che sai, tu possa aiutare chi e' nei problemi come me! Chiedo al Signore la sua benedizione!" 
Fortunatamente sono in una fase dell'operazione che non richiede molta concentrazione (ho infatti gia' richiuso la fascia muscolare) perche' mi sono veramente commosso e mi si sono riempiti gli occhi di lacrime. Cercando di respirare profondamente due o tre volte per poter spiaccicare una parola senza piangere, ho potuto semplicemente farfugliare: "sei cattolica?" Al che, la giovanissima mammina ha risposto: "Sono una SDA (cioe' una Avventista del Settimo Giorno)". Io allora le ho sussurrato: "grazie davvero delle tue preghiere". Quanto mi ha detto oggi questa mamma e' piu' di ogni stipendio. 
La preghiera e la benedizione di una poveretta, che sa pensare a Dio e ringraziarlo nel bel mezzo di una operazione, sono una commovente certezza per me: lo so che le preghiere dei poveri sono sempre esaudite. E non posso fare altro che ripensare al Vangelo appena ascoltato nella Messa di oggi: "ogni volta che avete fatto queste cose al piu' piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me". 

Fr Beppe Gaido

 

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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