domenica 13 novembre 2011

La spada di Damocle

Oggi e’ stata una giornata terribile. Lavoro incalzante ed emergenze. Usciamo ora dalla sala dopo il quinto cesareo (abbiamo quasi eguagliato il nostro record, che e’ di 6 nelle 24 ore). Guardo l’orologio e la mezzanotte e’ passata da un pezzo. Cammino lento e guardo il cielo, reso magnifico da una luna rossa che illumina una nuvolaglia sparsa.
“Buona notte… speriamo di non vederci prima di domattina”.
Ma il destino aveva stabilito diversamente. Alle 4.30 nuova chiamata: “Corri subito perche’ la paziente e’ gravissima”.
Mi precipito ancora in pigiama, ma arrivo tardi. La giovane donna, ora supina sulla nostra barella, non mostra segni di vita: istintivamente le metto due dita sulla carotide, ed una mano davanti alla bocca, e capisco tutto ancor prima che Miriam mi passi il fonendoscopio con cui poi confermo l’ assenza di attivita’ cardiaca.
Guardo quel cadavere dall’eta’ di vent’anni si’ e no: mi accorgo che e’ gravida. Sono ancora confuso ed un po’ assonnato. Osservo la mia infermiera con aria interrogativa. Lei capisce al volo ed in pochi secondi mi traccia il quadro terribile: si tratta di una giovane con una pregressa cicatrice da cesareo. Ha tentato di partorire a casa, ma le cose non sono andate bene: ha continuato ad avere doglie per moltissime ore… probabilmente delle donne del posto avranno cercato in tutti i modi di far uscire quel bambino, anche con manovre improprie, come per esempio forti pressioni sul fondo dell’utero.
Il fatto e’ che hanno deciso di venire all’ospedale quando era troppo tardi. Ora sono entrambi morti, mamma e bambino, che molto probabilmente dovro’ estrarre con una autopsia, perche’ qui la madre non puo’ essere sepolta con il prodotto del concepimento ancora nel ventre.
A me questa sembra davvero una morte assurda. Come mai la gente non riesce a capire che, se si era fatto un cesareo la prima volta, qualche problema sicuramente c’era, ed e’ quindi una imprudenza madornale cercare un parto naturale lontano da una struttura ospedaliera. Sicuramente si tratta di una una rottura d’utero con emorragia interna: questa sfortunata ragazza e’ probabilmente morta a causa dell’anemia.
Mentre torno a letto sconsolato, penso a quanto sia pericoloso cercare di far partorire le donne che hanno delle cicatrici sull’utero. Qui le gravidanze sono ravvicinate, e la rottura e’ una evenienza sin troppo comune.
Negli ospedali italiani ci sono mezzi e personale per “saltare addosso” alla paziente al minimo segno di pericolo. Qui pero’ un travaglio in una donna con cicatrice da pregresso cesareo e’ un terno al lotto ed una spada di Damocle.
A qualcuno sembra che la percentuale di cesarei a Chaaria sia troppo elevata, ma sono i casi come quello di questa notte che mi fanno pensare che sia meglio agire prima che si verifichi l’irrecuperabile.
Mentre torno a letto, ripenso a quanto e’ appena successo e dico a me stesso che il nostro scopo e’ quello di dare alle donne un figlio sano, con il minimo rischio anche per la mamma… lo scopo non e’ quello di evitare la chirurgia a tutti i costi, con la considerazione che avranno molte gravidanze.
Sono pensieri che si accavallano e che sicuramente non mi lasceranno dormire.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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