lunedì 21 novembre 2011

L'emoteca è vuota


Sono le 17.30 di ieri sera ed il cercapersone si è fatto sentire nuovamente: "vieni subito perchè c'è un REFERRAL da un dispensario governativo con mamma malata di malaria in travaglio, e distress fetale". Sono in comunità e mi affretto verso l’ospedale dicendo a me stesso: "meglio ora che a mezzanotte".
Infatti alle 18 già siamo in sala, e, nonostante l'assenza dell'anestesista, riusciamo a finire il tutto per le 19. Era stato un cesareo senza problemi, ed eravamo rimasti di stucco quando ci eravamo resi conto che il bambino non respirava dopo l'estrazione. Però fortunatamente le nostre infermiere di sala parto, erano riuscite a rianimare proprio bene, e, prima di chiudere la cute dell'addome già avevamo avuto la notizia: "ha pianto, e respira da solo". Che sospirone di sollievo!
Dopo l'operazione mi affretto a raggiungere la cappella per la preghiera . Sono in ritardo, come al solito, ma almeno mi sforzo di esserci.
Subito dopo l’ adorazione però vengo chiamato nuovamente in maternità: la mamma appena cesarizzata ha una torrenziale emorragia post partum; la sua pressione è già sparita ed il polso è appena percettibile. Che dramma!! il sangue esce a fiotti, ed oramai deborda sul pavimento. E' difficile anche avvicinarsi al letto senza essere imbrattati. Io mi avvio verso il laboratorio e mi rendo conto che l'emoteca è vuota. Testiamo il gruppo della paziente e ci rendiamo conto che il suo sangue è ormai una acquetta rosa contenente sì e no 2 grammi di emoglobina. Facciamo dei liquidi endovenosi a go go. Pratichiamo oxitocina in vena... le mie gambe cominciano a tremare ed il mio cervello ad offuscarsi. Non so bene cosa fare: le infermiere della notte mi guardano ansiose, in attesa di ulteriori piani terapeutici.  Non ho donatori, ed il gruppo richiesto è difficilissimo da reperire: 0 positivo. In quel momento passa un volontario italiano che veramente mi stupisce e mi dice: "dono io il sangue... adesso". Accettiamo immediatamente e saltiamo addosso al nostro “salvatore”, che, docile come un agnello, si lascia "svenare".
Infatti pian piano la mamma riprende vita, grazie al "ricco" sangue che entra nella sua circolazione. Rimango ancora a controllare la situazione fin verso mezzanotte.
La mamma sembra non sanguinare più. Le condizioni sono stabili. Dico alle infermiere di continuare con le medicine prescritte e provo ad andare a riposare.
La mia felicità è stata completa questa mattina quando, tornato in ospedale, l'ho vista seduta nel letto tutta intenta ad allattare il suo gigante (4200 g alla nascita).

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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