martedì 8 novembre 2011

Una tendinite tubercolare

I miei professori a Londra sempre mi dicevano che la tubercolosi puo’ attaccare tutti itessuti del corpo umano, con la sola eccezione di unghie e capelli.
Ieri con Luciano ed Alessandra abbiamo diagnosticato una rarissima forma di tubercolosi extrapolmonare.
Si trattava di una donna con una escrescenza sulla parte volare del polso destro.
L’anno scorso la lesione era stata interpretata come cisti tendinea, ma il chirurgo non era riuscito a delimitarla ed ad escinderla completamente a causa di importante sanguinamento. Aveva quindi richiuso.
Ora la massa era recidivata completamente, ed in piu’ la donna lamentava una certa limitazione funzionale alla flessione del pollice, e dolore sulla lesione quando chiudeva il pugno con forza.
Luciano ha eseguito un intervento di alta chirurgia della mano, con debridementaccurato ed isolamento prima dei nervi e poi dei tendini flessori del polso.
Con sorpresa abbiamo notato che le strutture del polso erano prigioniere di una sinoviale molto ipertrofica e flogistica, e che al di sotto di esse c’era una specie di cavita’ che arrivava fino all’articolazione radio-carpica. Tale cavita’ conteneva un numero elevatissimo di granuli, molto simili a riso bollito.
Luciano ha detto di aver visto una volta sola in vita sua una lesione del genere, molti anni prima: ci ha detto che che quella specie di chicchi riso si chiamavano tecnicamente “granuli rizoidei”, e che costituivano un quadro patognomonico di tendinite tubercolare.
Con l’intervento si e’ quindi limitato e fare una toeletta chirurgica il piu’ accurata possibile, rimettendo poi in posizione i tendini ed i nervi, e lasciando in seguito alla terapia anti-tubercolare il compito di sterilizzare la lesione ed altri probabili foci nell’organismo.
Anche il caso do oggi costituisce un enorme successo perche’ portera’ la malata a guarigione totale. Si tratta anche dell’ennesima occasione in cui a Chaaria e’ possibile sperimentare quadri clinici estremamente rari.

Fr. Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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