mercoledì 9 novembre 2011

Sapere di non sapere; volere ma non potere


Avevo deciso che sarei assolutamente dovuto tornare a Chaaria!!!
Ero rimasto stregata e volevo capire fino in fondo cosa mi richiamava in quelle terra calda e misteriosa: qualcosa che non appariva ma che urlava dentro me come un imperativo categorico. La bellezza di Chaaria sta nell’essere una terra così indomabile e selvaggia.
Ed eccomi a Chaaria: un posto forse dimenticato dagli uomini ma non da Dio, dove tutto è esagerato, sia nell’incredibile bellezza di una natura strepitosa, sia nell’espressione della povertà e della malattia.
Chaaria è un ospedale senza frontiere dove c’è di tutto come patologie e quasi nulla come medicine.
Qui ho imparato ad accantonare le mie conoscenze mediche ed infermieristiche occidentali; ho imparato l’umiltà confrontandomi ogni giorno con la mia inadeguatezza di conoscenza e di mezzi: sapere di non sapere, volere ma non potere!
Una cosa mi ha sempre lasciata perplessa qui a Chaaria: tutto qui viene accettato come ineluttabile... anche la morte.
Le mamme di Chaaria in particolare, non chiedono nulla, sanno aspettare, ma soprattutto sanno accogliere qualunque cosa quasi con indifferenza o incoscienza.
E’ straordinario come questa gente , in una terra dolente e senza tempo che non concede speranza sa accettare e sa morire.
Quanti ricordi indelebili nella mia mente e quante sensazioni contrastanti ho provato: dalla rabbia all’impotenza, dall’ urgenza di fare ma di non riuscire a farlo bene, dal volere ma non potere.
Potrei continuare all’infinito tentando di raccontare il mio vissuto, ma ancora non direi niente.
So solo una cosa che amo Chaaria in modo smisurato e che negli occhi della gente neri come l’ebano ma profondi come il mare ho trovato il coraggio di vivere.
ASANTE SANA CHAARIA!!!! KWA HERI

Silvia
 

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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