venerdì 9 dicembre 2011

Il prolasso del cordone ombelicale


E’ una complicazione temutissima del travaglio a termine.
Oggi e’ arrivata una mamma con la procidenza totale del funicolo.
Per la solita “legge di Murphy”, la donna e’ giunta da noi mentre stavamo facendo un grosso intervento per tumore dello stomaco. Mancavano circa 20 minuti alla fine dell’operazione.
Non avevamo alternative, se non di cercare di velocizzare al massimo la nostra procedura chirurgica per poi iniziare il cesareo.
Abbiamo finito in circa 15 minuti e siamo usciti subito dalla sala... con la paziente ancora intubata.
Abbiamo pulito e riordinato la camera operatoria a tempo di record, ma quando tutto era in ordine, Aldo ci ha detto che all’ecografia il battito cardiaco fetale era scomparso.
Questi sono i momenti in cui mi sento una “cacca”; avessimo avuto due sale forse il bimbo si sarebbe salvato, visto che in questo momento abbiamo abbondanza sia di ginecologi che di anestesisti.
Avrei anche potuto autorizzare un cesareo d’urgenza in sala parto, ma mi sono fatto prendere dalla paura di fare una cosa sbagliata, mai tentata prima, ed ho ordinato di attendere... ed il feto e’ morto.
La realta’ e’ questa!
Chaaria scoppia di malati e di emergenze da tutte le parti... ma la nostra struttura e’ spesso carente, ed il nostro personale scarso. Sono limiti che dobbiamo accettare!
Non e’ la prima volta che mi capita una cosa del genere, ma tutte le volte il dolore si ripresenta acuto come se fosse la prima.
Ora la povera primipara sta travagliando, in attesa di espellere quel corpicino morto. E’ depressa e piange... e vederla cosi’ deprime anche me.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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