lunedì 23 gennaio 2012

Impegno e solitudine




 I malati che a noi afferiscono sono sempre moltissimi e spesso gravi. Di casi veramente pietosi ce ne sono a centinaia: sovente sono senza soldi ed arrivano a noi perché sanno di essere curati anche quando non hanno denaro per pagare. La vera nemica che continua ad uccidere è sempre la malaria. Spesso ci sono casi di malaria cerebrale e molti bambini muoiono.
Uno dei casi più impressionanti per me  è capitato qualche giorno fa: è arrivata una mamma con un bimbo sulle spalle. Diceva che dalla sera prima il piccolo aveva avuto febbre alta. La mamma aveva camminato per più di due ore nella polvere. Appena dopo aver detto alla mamma di aprire il fagotto, ci siamo accorti che il piccolo era già morto e praticamente rigido, in una abnorme posizione che ritraeva l’abbraccio alla schiena materna. Aveva quattro mesi soltanto.
Capita spesso di visitare bambini estremamente denutriti, spaventosi a vedersi: sono immagini che solitamnte si vedono in televisione, nei documentari sulla fame nel mondo. Quasi sempre l’unica terapia per questi bambini è mangiare.
Molti non hanno denaro liquido: chi ha soldi sono i nostri operai, quelli che hanno la fortuna di avere un lavoro, gli infermieri, gli insegnanti ed i proprietari dei negozi o dei matatu. Chi ha terra molte volte produce solo per sé, cioè per dar da mangiare alla famiglia ed anche chi produce di più, non avendo magazzini, è obbligato a vendere subito i raccolti alle grandi compagnie, senza aspettare che i prezzi salgano un po’ fuori stagione… e le compagnie pagano pochissimo, con il solito risultato che i ricchi lo diventano sempre di più ed i poveri sprofondano nella loro miseria.
La zona attorno a Chaaria, soprattutto andando verso Gatunga e Mukothima, è davvero molto povera. I malati che vengono da quella zona sono invariabilmente squattrinati e diseredati.
Abbiamo inoltre costantemente molti casi di AIDS e di TBC. Le mamme partoriscono ancora a casa e spesso ci sono complicanze gravi, che possono causare anche la morte. Frequentissimi sono i casi aborto spontaneo, forse causati da qualche malattia infettiva. Per cui cerchiamo di fare un po’ di tutto: dall’otorino all’ostetricia, dalla traumatologia alle malattie infettive, dalla diagnostica per immagini alla chirurgia generale.
C’è poi tutto l’impegno della Comunità, il servizio ai Buoni Figli, l’economato e la manutenzione, che assorbono anche tante energie a tutti i Fratelli e le Suore di Chaaria.
Le giornate sono piene e non c’è molto tempo per la nostalgia che è comunque molto forte, soprattutto alla sera, se non ci sono casi urgenti ricoverati, se magari manca la luce e si gira lume di candela; ci si rende conto allora di essere sperduti in mezzo alla savana, senza possibilità di uscire o di incontrare gente nuova e si pensa tanto a casa... soprattutto quando qualcuno non sta bene.
Questa sofferenza della lontananza e della impossibilita’ di aiutare ed essere vicini alle persone piu’ care e’ forse una delle più acute sperimentate fino ad ora, ed è comunque un continuo richiamo a spiritualizzare, a capire che noi siamo qui per il Signore e per Lui solo.
Qui a Chaaria davvero si sperimenta una certa solitudine che è un richiamo alla  solitudine propria del consacrato che non ha una famiglia, che non ha figli propri e quindi si dà corpo ed anima per i figli degli altri, li cura, soffre per loro, se li porta nel cuore, ma poi, quando la malattia è finita ed i poveri se ne sono andati, magari senza ricordarsi di dire grazie, si ritrova solo e deve rinnovarsi nella convinzione che Dio e Dio solo basta.
Pregate per me ed io farò lo stesso.

Fr Beppe



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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