mercoledì 25 gennaio 2012

Informazioni per infermieri italiani che verranno a Chaaria (Prima parte)


Prima di tutto grazie per essere venuti ad aiutarci a Chaaria.
La ragione di questo scritto e’ di darvi qualche indicazione che possa aiutarvi a comprendere meglio gli infermieri kenyoti con cui vi troverete ad operare.
Prima di tutto tenete conto che in questo momento la maggior parte dei vostri colleghi africani e’ estremamente giovane: quasi tutti hanno appena terminato la scuola ed alcuni di loro addirittura sono ancora studenti. E’ quindi normale che siano molto inesperti!
Altro elemento  che necessariamente si associa alla loro giovane eta’ e’ il fatto che essi tendono a non voler rimanere a Chaaria per lungo tempo:  sovente essi desiderano ancora specializzarsi, oppure cercano ospedali meno rurali e meno duri di Chaaria. Cio’ comport a il fatto che il turn over e’ altissimo, e la vita media di un infermiere nel nostro ospedale  e’ talvolta inferiore ad un anno. Questo crea disagi non da poco anche a noi, in quanto, quando hanno imparato delle cose ed hanno iniziato ad assumersi responsabilita’, poi ci lasciano… portandosi con se’ il patrimonio di esperienze che nuovamente dobbiamo cercare di trasmettere ai nuovi venuti.
Chiediamo quindi agli infermieri italiani tanta pazienza ed anche un occhio di comprensione nei confronti delle  nostre evidenti carenze nel campo del nursing.
Ci sono pero’ alcuni infermieri “storici” che con il loro patrimonio di esperienza possono essere un vero punto di riferimento anche per I volontari italiani, sia nel reparto di medicina generale, sia in quello della pediatria-maternita’.
Il punto centrale e’ il fatto che gli infermieri italiani che vengono a Chaaria per due o tre settimane si devono prima di tutto mettere in un atteggiamento di umilta’ e di collaborazione. Noi europei ci rechiamo in Kenya sostanzialmente per aiutare e per collaborare, sforzandoci innanzi tutto di essere accolti e di farci accettare. Solo quando siamo riusciti a farci conoscere ed amare, poi potremo tentare di insegnare delletecniche  con la speranza che gli infermieri kenyoti accettino ed apprezzino. Chi si pone dal primo giorno in atteggiamenti ipercritici, con il pensiero che tante cose vanno cambiate nel nostro modo di lavorare, si espone al rischio di essere rifiutato dal nostro staff di Chaaria che si sentira’ poco apprezzato, erigendo quindi  dei muri di divisione e di isolamento attorno al nuovo arrivato.
Il mio consiglio e’ che prima il volontario si ponga semplicemente al loro fianco; cerchi di diventare loro amico… e poi , quando questo rapporto si cementa pian piano, saranno loro a chiedere: “ma voi questa cosa come la fate in  Italia?”
Il volontario deve poi considerare le differenze di formazione tra infermieri italiani e kenyoti: essi studiano tre anni e mezzo, piu’ o meno come in Italia. Il loro curriculum e’ pero’ molto diverso.
Ammetto che probabilmente essi sono piu’ carenti degli italiani riguardo alla formazione nursing: il prendersi cura del benessere totale del paziente, il suo igiene personale, la cura e la prevenzione dei decubiti sono sicuramente un po’ carenti nello staff di Chaaria, e quindi questa e’ un’area in cui I volontari possono certamente avere un impatto che porti ad un miglioramento. Ma ripeto che cio’ non si realizzera’ con un atteggiamento di superiorita’ e di critica nei confronti del personale africano. Il miglioramento potra’ pian piano avverarsi con tempi forse biblici o evoluzionistici, ma si compira’ in modo sostenibile e continuativo solo se i nostri infermieri saranno stati convinti pian piano da persone coerenti ed umili, che parlano poco ed invece insegnano molto con l’umile e costante esempio della vita. Fare critiche aperte o lezioni estemporanee sul modo di lavorare quasi mai ottiene un effetto positivo… anzi puo’ essere deleterio, in quanto certamente essi non daranno alcun ascolto a docenti mai conosciuti prima, che passano da Chaaria come meteore, che si pongono su un piedistallo di superioita’ e magari danno lezioni in italiano od in un inglese a dir poco stentato. Per questo il mio consiglio agli infermieri volontari e’ il seguente:  lavorate con loro, diventate loro amici… ed aspettate che siano loro a farvi domande sul vostro modo di lavorare.
Certamente anche la sterilita’ e l’igiene sono un punto di carenza dei nostri infermieri. Pure da questo punto di vista gli infermieri italiani possono apportare grandi miglioramenti, ma lo devono fare in modo prudente, proprio come ho descritto sopra.
Vedrete mettere dei cateteri con tecniche non sterile. Se lo dovete fare voi, usate tutta la sterilita’ che e’ propria del caso… il vostro comportamento creera’ in loro delle domande, e, se il vostro modo di lavorare e’ a loro piaciuto, poi vi imiteranno. Lo stesso vale per le garze sterile, le medicazioni e via dicendo.
Oggi mi fermo qui. Continueremo il discorso spero domani sui tantissimi pregi e sulle eccezionali qualita’ che i nostril infermieri africani hanno, e su cui credo anche loro abbiano qualcosa da offrire agli italiani. Si tratta infatti a mio parere di uno scambio intercultural, e non di un movimento a senso unico.
Fr Beppe Gaido 


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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