venerdì 6 gennaio 2012

Non si potrà dire che non c'era neppure un cane

Ieri la cosa che piu' mi ha colpito al funerale di Danieli e' stato il fatto che nessuno dei parenti si e' fatto vivo. Danieli era una persona normale, diventato "Buon Figlio" all'eta' di 24 anni... e quindi, se vogliamo, la sua situazione e' ancora un po' diversa da quella di un handicappato mentale dalla nascita. 
Ma Danieli e' stato buttato a Chaaria come in una discarica: abbandonato in vita, ed abbandonato dopo la morte. Al funerale, celebrato dal nostro parroco, abbiamo partecipato solo noi, che siamo la sua famiglia: i ragazzi del Centro, le suore ed i fratelli, gli operatori. Dei parenti neanche l'ombra. 
La cosa che mi ha comunque stupito, durante la Messa all'aperto nel cortile del Centro, e' stata la presenza di Tofi, che e' stato seduto e composto, in assoluto silenzio, vicino alla bara fino al momento in cui l'incenso del turibulo lo ha infastidito. 
Poi pero' Tofi e' venuto anche al cimitero ad accompagnare l'amico. Forse Tofi sentiva l'odore di Danieli, il suo amico, che si faceva leccare senza lamentarsi per minuti interi, quando se ne stava sdraiato sull'erba. 
Nella sua mente malata Danieli voleva bene a Tofi, e Tofi lo ricambiava: non gli faceva mai male, ed era sempre molto tenero con lui. 
Da casa sua non c'era nessuno ma non si potra' mai dire che al funerale di Danieli non ci fosse un cane: c'eravamo noi, la sua nuova famiglia... e c'era anche Tofi. 

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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