martedì 14 febbraio 2012

Il cantiere di Chaaria


Mi collego emotivamente alla bella testimonianza di Max, che condivido in pieno.
Ringrazio lui e tutti i volontari che in mia assenza hanno fatto “testuggine” come nella coorte romana, e so che hanno coperto benissimo il fatto che io non ci fossi per quei 10 giorni.
Leggendo quanto Max scrive sul “cantiere di Chaaria”, mi ci ritrovo in pieno: siamo sempre in costruzione… e non solo dal punto di vista edilizio!
Ci sono continuamente interventi chirurgici nuovi e piu’ esigenti; anestesie piu’ profonde e piu’ complicate; paziente sempre piu’ numerosi e piu’ gravi.
Il ritmo a volte sembra ai limiti dell’umana sopportazione: si esce dalla sala alle 19.30, solo per trovare che i pazienti ambulatoriali non sono finiti, ma continuano ad accumularsi ad oltranza. Si fa il controgiro serale dopo cena, e, quando alle 22.30 si tenta timidamente di dire all’ostetrica di sala parto: “Beh, se non ci sono problemi, io andrei a letto”, lei con freschezza mattutina ti dice che c’e’ un altro cesareo urgente.
E poi e’ verissimo il riferimento al mito di Achille che insegue la tartaruga: lavori dal mattino a notte fonda, ma trovi sempre che qualcuno e’ scontento di te:  ”E’ da stamattina che aspetto!” “Ma possibile che non mi potete operare oggi?”
Chaaria e’ una fucina in continuo subbuglio; un cantiere in cui c’e’ sempre piu’ da fare rispetto a quanto e’ gia’ stato compiuto; una bolgia infernale in cui tutti chiedono allo stesso tempo e vogliono essere esauditi immediatamente, senza mai rendersi conto di non essere gli unici a cui devi pensare; una barca che fa acqua da tutte le parti, ed in cui, per quanti buchi tu provi a riparare, ti rendi conto che ci sono sempre nuove falle che imbarcano acqua ancor piu’ di prima.
Chaaria e’ anche una coperta troppo corta: in ogni direzione tu provi a tirarla, lasci sempre qualcosa di scoperto: se ti dedichi di piu’ alla sala, piangono i pazienti ambulatoriali che aspettano troppo. Se fai ambulatorio, ti rendi conto che non hai guardato il reparto, dove per altro ci sono i piu’ gravi. Se passi la giornata in corsia, poi ti trovi di notte a fare quei cesarei che non hai potuto programmare per tempo durante il giorno… senza contare che poi dovresti anche riuscire ad andare a pregare, e qualche volta anche a mangiare con i confratelli.
Ma questo cantiere che non finisce mai, questa tela di Penelope che non e’ mai completa, questa coperta che ti lascia sempre I piedi scoperti, questa sensazione di non aver fatto abbastanza anche quando sei stremato… tutto questo e’ il segreto magico di Chaaria che continua ad affascinare cosi’ tanti volontari ed a contagiarli con un mal d’Africa sovente inguaribile.
Chaaria e’ bella perche’ il servizio non finisce mai; perche’ alla sera ti tormenti di tutto quello che avresti potuto fare e non ce l’hai fatta a portare a compimento. Chaaria e’ stpenda perche’ e’ un caos di problemi  irrisolti… ma soprattutto perche’ ti da’ la possibilita’ di aiutare tantissima gente, e poi ancora di sentire che avresti potuto dare di piu’.
In questo Chaaria e’  davvero pungente; e questa suo pungolo all’impegno ti riempie di insoddifazione, ma anche di voglia di radicalita’ e di dedizione totale.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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