domenica 19 febbraio 2012

La donazione e' una forza autorigenerante (stralci di un'intervista)

“Si tratta di un periodo durissimo con chiamate notturne quasi quotidiane, con week end estremamente pieni di pazienti e con giornate da delirio sia in sala che fuori. Alla sera sono sempre tutti stravolti e distrutti. Tu invece sei fresco come una rosa. Come fai?”

“La mia impressione e’ che la dedizione contenga in se’ una forza rigenerante. E’ un mistero, ma quando tieni fisso lo sguardo sul tuo fine (che che il servizio incondizionato ai malati, per quanto le tue forze te lo consentono), la tua donazione non drena le tue energie completamente. 
Ti svuota di forza fisica e mentale, ma ti riempie il cuore. Ed e’ proprio perche’ sei interiormente carico, che ti basta una doccia o poche ore di sonno per sentirti nuovamente pronto a ricominciare. 
La dedizione e’ in se’ un’energia che ti trovi dentro e non sai da dove venga: credo comunque che derivi dal fatto che sei contento di te stesso e ti senti in qualche modo appagato, realizzato e soddisfatto. Mi pare che il fulcro sia proprio qui: la donazione ti gratifica perche’ e’ decisamente per questo che sei venuto in Africa. 
Molti mi dicono di ridurre i ritmi e di fare attenzione a non prendermi un esaurimento, ma la mia impressione e’ che i religiosi esauriti (e ne ho incontrati un buon numero in Kenya) siano proprio quelli che non hanno da fare: a volte non ci si butta per paura di fallire, per eccessivo timore dei propri limiti, per preoccupazioni esagerate sul futuro (e poi chi portera’ avanti questo mio progetto dopo di me!). 
Ma questa e’ una trappola! Meno si fa, meno si e’ impegnati e piu’ si tende a cadere nella malinconia, nella nostalgia dell’Italia ed a volte anche nella maldicenza gratuita e cattiva. Onestamente, se dovessi passare gran parte delle mie giornate a grattarmi le ginocchia, io mi sparerei un colpo, diventerei matto, o chiederei di tornare in Italia. 
La mia forza e’ proprio nel fatto che non ho tempo, che sono pienissimo di impegno da mane a sera e che, se fosse possible, avrei bisogno di giornate di almeno 36 ore per riuscire a fare tutto. E’ questo che mi fa star bene! Son cosi’ stanco che trascino i piedi, ma dentro sono nella pace, non ho tempo per il gossip e non ne ho neppure la forza. 
Vado a letto e mi addormento rapidissimamente, anche se poi magari mi chiamano nel cuore della notte. E’ la donazione, il lavoro per gli altri, la carita’ a costituire la ragione per cui alla sera sono fresco come una rosa… perche’, quando ho fatto tutto quello che potevo per gli altri, cosa mi rimane ancora se non una preghera al Signore per dirgli grazie del continuo sostegno, e poi un po’ di pace nel mio letto? Una vita unificata dal servizio senza riserve diventa anche semplificata: hon hai ne’ tempo ne’ forza per disperderti in tante complicazioni inutili che spesso rendono i rapporti interpersonali complessi e pesanti; non hai energie per litigare o per portare rancore; tutti i tuoi talenti sono infatti focalizzati ed utilizzati per un solo scopo: il servizio. 
Forse sono fresco come una rosa anche perche’ sono riuscito a semplificare e ad attaccarmi solo ad alcune cose importanti, per cui cerco di dare il massimo di me stesso. E credo che il Signore vegli su questo mio cammino in cui ho compreso che non posso piacere a tutti, non posso fare tutto e non posso aver sempre successo. Lui mi ha aiutato a far cadere tanta litigiosita’ tanto narcisismo e tanta permalosita’ che han fatto parte del mio passato, ed ora mi indica la via del servizio come modo per essere felice io stesso, mentre cerco di alleviare le sofferenze degli altri.”

Fr Beppe Gaido


PS: Un ringraziamento sincero a Rosella, Enrico, Luciano, Laura, Marina e Donata che oggi hanno raggiunto l’Italia dopo un periodo di ottimo servizio e di donazione al nostro fianco.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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