venerdì 10 febbraio 2012

La morte improvvisa


E’ un evento devastante per il medico.
Ti trovi di fronte ad un paziente le cui condizioni sembrano del tutto stabili, e poi all’improvviso il quadro cambia.
E’ come un precipizio in cui il tuo malato continua a cadere, e tu non ci puoi fare niente.
Le cause sono normalmente al di fuori delle nostre possibilita’ diagnostiche, per cui si deve ricorrere alle ipotesi ed al senno di poi.
Il caso odierno sembrerebbe legato ad un accidente vascolare cerebrale: malato che parlava normalmente e poi perde coscienza improvvisamente e non la riprende piu’, al di la’ di tutto il nostro impegno rianimatorio che si e’ protratto per ore ed ore. Le sue condizioni che diventano sempre piu’ gravi, fino all’arresto respiratorio con il quale testardamente abbiamo lottato per ore a forza di ambu, di ossigeno e di analettici repiratori.
E poi di colpo si ferma anche il cuore: al che’ ci attiviamo con adrenalina in vena ed intracardiaca, con un massaggio che dura per interminabili minuti che ci massacra anche fisicamente, oltre che nel cervello.
Ma alla fine il senso di realta’ deve prevalere: non possiamo pompare ad oltranza un morto… tra l’altro non abbiamo neppure una rianimazione dove trasferirlo!
Bisogna quindi sospendere ogni procedura ed attendere che la traccia del monitor si faccia definitivamente piatta.
I parenti normalmente non ci sono nel momento del disastro, perche’ non e’ orario di visita. Qualcuno ha il telefonino e lo puoi contattare, ma molti non ce l’hanno. Ecco quindi che ti trovi con un cadavere in ospedale, mentre a casa tutti pensano che il congiunto stia bene.
Gia’ prefuguri le scene di dolore e disperazione, e magari anche le accuse emotive che ti dovrai aspettare quando torneranno e troveranno un altro paziente nel letto che era stato del loro congiunto. A volte ti minacceranno anche, ed a nulla servira’ spiegare loro che nessuno e’ onnipotente e che in medicina esiste quella percentuale di ineluttabilita’ che nessuno puo’ controllare.
Ogni volta che capita, io perdo almeno 5 anni di vita! E’ un misto di stress, senso di colpa ed inadeguatezza, paura e desiderio di poter tornare indietro nel tempo e rifiutare quel ricovero con una scusa qualunque, in modo da far accadere l’inevitabile in un altro posto.
Ma poi bisogna calmarsi: la vita, per quanto dura possa apparire, va presa di punta. Ti devi preparare, devi dare la notizia ai congiunti , devi sorbirti le loro reazioni ed affrontarne anche le conseguenze. Tutto cio’ lo sapevi quando hai scelto la professione medica, invece per esempio di diventare insegnante di latino! Lo sapevi anche quando hai deciso che a Chaaria bisognava buttarsi e fare il massimo, invece di scegliere la via piu’ comoda del piccolo dispensarietto che distribuisce quattro medicine e nulla piu’.
E poi ci sono gli altri malati in coda che ancora hanno bisogno del tuo aiuto: devi controllarti e pensare nuovamente ai problemi altrui. Devi sforzarti di sorridere e di avere un rapporto empatico con tutti. Non e’ assolutamente facile, soprattutto nel marasma che e’ Chaaria, dove non hai tempo di riprenderti da uno shock, che gia’ sei immerso in drammi ancora piu’ grandi.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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