mercoledì 7 marzo 2012

Il monte Kenya

Domenica scorsa alcuni dei volontari presenti  a Chaaria si sono concessi una giornata di pausa e sono andati a Nanyuki, ai piedi del monte Kenya.
Laggiu’ hanno anche visitato un ospedale missionario per malati terminali. Tale struttura e’ gestita da due sacerdoti della diocesi di Cagliari che alcuni dei volontari conoscevano personalmente.
La gita e’ stata particolarmente fortunata perche’ il colosso del monte Kenya era limpido e perfettamente visibile, cosa che avviene di rado. Infatti quasi sempre e’ avvolto da fitta nuvolaglia che impedisce di scorgere la vetta.
Il monte Kenya e’ la seconda montagna piu’ alta dell’Africa con i suoi 5900 metri di altitudine. E’ secondo al Kilimanjaro della Tanzania  (6000 metri circa), e di poco piu’ alto del Rwenzori dell’Uganda. E’ possible anche scalarlo: dapprima si tratta di escursioni in foresta ed in parchi nazionali con animali selvaggi liberi, e poi di arrampicata in roccia libera.
A Nanyuki, Timau, Naromoru e Chogoria ci sono delle agenize che provvedono guide ed assistenza per escursioni da varie vie di salita. La scalata dura circa una settimana, dovendo fare varie pause dovute all’acclimatazione all’altitudine. Naturalmente le agenize sono costose, essendo rivolte quasi esclusivamente ai turisti stranieri.

PS:  anche oggi, nel caos dello sciopero, abbiamo avuto un prolasso di cordone. Stavolta e’ pero’ successo di giorno, quando potevamo contare su Jesse. L’agitazione e’ stata la stessa, e la tempistica simile a quella di ieri notte. Oggi pero’ abbiamo potuto operare in anestesia generale: ancora una volta abbiamo avuto la soddisfazione di salvare mamma e bambino, e la cosa costituisce per noi un ottimo ricostituente nella stanchezza di queste giornate interminabili.
Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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