lunedì 16 aprile 2012

Christine torna a casa


L’abbiamo accolta che aveva tre settimane di vita. La sua mamma era morta di malaria in un altro ospedale ed il papa’ non si sentiva di seguirla cosi’ piccola, nella sua condizione di vedovo.
Ora Christine e’ grande e forte: mangia, biascica qualche parola e comincia a camminare.
E’ passato un anno da quando l’abbiamo accolta ed il suo genitore ha mantenuto fede alla sua promessa. Insieme a due zii, oggi e’ venuto a riprendersi la sua creatura per portarsela a casa. Era contento e preoccupato nello stesso tempo, in quanto ancora non ha una moglie che si possa prendere cura di Christine. Sara’ la nonna a fare da mamma alla piccola.
Ancora una volta ci sentiamo felici e tristi nello steso tempo.
Contenti perche’ Christine, a tre settimane di vita, sembrava non potercela fare senza sua mamma; contenti perche’ invece l’abbiamo tirata su forte e bella.
Ma anche tristi perche’ Christine non potra’ ricordarsi di noi quando sara’ grande, e magari piangera’ se il papa’ decidera’ di portacela in futuro, in quanto non ci riconoscera’.
Per noi vale all’ennesima potenza quella poesia che Gibran dedica a tutti i genitori: noi siamo soltanto l’arco per i nostri orfanelli. Li prepariamo e poi li lanciamo nella vita, perche’ camminino da soli insieme ai legittimi genitori, oppure in strutture piu’ attrezzate della nostra.
Noi li amiamo, non per attaccarli a noi ma solo per lasciarli andare.
E’ questa la solitudine del missionario che si prende cura dei figli degli altri, ed alla fine si ritrova da solo.
Ciao Christine, e buona vita!
Nelle due foto potete vedere prima Christine un anno fa, e poi oggi in braccio al papa’ alla partenza per casa.
Fr Beppe Gaido



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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