mercoledì 25 aprile 2012

I lavori in muratura sono ormai conclusi


Le foto inviate si riferisconono allo stato della costruzione della sala operatoria di Chaaria. I muratori sono ora andati via, perche’ la loro parte e’ terminata.
Mancano ancora alcune porte e finestre in alluminio, per cui una ditta  indiana di Meru ci sta facendo un po’ tribolare.
Sono gia’ arrivate alcune attrezzature, tra cui le barelle, il monitor (del quale sinceramente ringraziamo la parrocchia di Santa Monica in Torino), la culla termica per i neonati, i cestelli per la biancheria sporca.
Il letto chirurgico sara’ quello attualmente in uso, mentre quello impiegato precedentemente e’ gia’ stato ristrutturato per la vecchia sala operatoria.
Per quanto riguarda il respiratore ne stiamo allestendo uno donatoci dal “Gruppo Karibu Africa” di Cagliari.
La luce scialitica e’ stata ordinata e dovrebbe arrivare dall’Europa entro due mesi.
Stiamo inoltre allestendo qualche mobiletto per gli spogliatoi.
Per la unita’ centrale di sterilizzazione i nostri tecnici e Juliana stanno preparando le connessioni elettriche e la mobilia, e probabilmente questa parte sara’ funzionale molto prima della sala operatoria stessa.
Ancora ringraziamo la Associazione Volontari Mission Cottolengo e tutti i donatori che hanno reso possibile la realizzazione di questo sogno ormai prossimo all’apertura.
Una delle foto mostra la visione della sala operatoria dal cancello: come vedete mancano ancora tre finestre. La seconda foto indica l’ingresso principale con la targa che ricorda la posa della prima pietra da parte di Padre Aldo Sarotto (allora Superiore Generale della Piccola Casa).
Fr Beppe Gaido e comunita’ di Chaaria


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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