giovedì 26 aprile 2012

Il Veronese.it: Le missioni del Cottolengo che partono dal Veneto - di Antonio Buonanno

In Valpolicella vive ormai da vent’anni un piemontese, Antonio Buonanno, la cui moglie era compagna di scuola del medico del villaggio di Chaaria (Kenya) che si occupa delle missioni del Cottolengo in Veneto.
La Piccola Casa della Divina Provvidenza, conosciuta anche con il nome di Cottolengo (dal nome del suo fondatore san Giuseppe Benedetto Cottolengo) è un istituto di carità con sede principale a Torino. L’istituto si occupa di assistenza ai portatori di handicap fisici e mentali, agli anziani, agli ammalati in genere, ai tossicodipendenti, ai poveri senza fissa dimora e agli extracomunitari. In Italia le case di assistenza sono 35, con circa 1.700 assistiti. Il Cottolengo è inoltre presente all’estero in India, in Kenya e in Ecuador. Abbiamo intervistato Antonio Buonanno per farci spiegare di cosa si occupa in concreto l’Associazione Volontari Missioni Cottolengo, e per capire come si può contribuire ad aiutare chi opera nei vari Paesi.
Di cosa si occupa l’Associazione in Kenya? In Kenya c’è un ospedale, nato dal nulla verso la fine del secolo scorso, che pian piano si è sviluppato e ora offre assistenza a una vasta area della regione del Meru. Insieme ad altri Fratelli, dal 1998 lo dirige Fratel Beppe Gaido, un medico piemontese che sta dedicando la sua vita ai diseredati. L’ospedale opera a tutto campo e col tempo ha creato anche un piccolo reparto di supporto per i bambini con handicap, spesso abbandonati dalle famiglie proprio a causa della loro infermità. L’ospedale da assistenza a tutti, a chi può permetterselo applicando tariffe molto più basse di quelle applicate negli ospedali di Nairobi, e in forma gratuita per chi, spesso nella povertà assoluta, non è in grado di potersi permettere neppure le medicine.
E negli altri paesi? In Ecuador a Tachina nella regione di Esmeraldas esiste un “Hogar de Ancianos”, ossia un “focolare per gli anziani”. Si tratta di un ricovero che offre ospitalità alle persone povere, anziane e abbandonate. Spesso si tratta di persone raccolte veramente dalla strada, senza più nessuno, che vivono in condizioni di assoluto degrado senza alcun aiuto, né alimentare né medico. La Missione è seguita dai Fratelli del Cottolengo ed è diretta da Fratel Maurizio Scalco, un infermiere di Rosà in provincia di Vicenza, che dopo molti anni passati in Africa a Chaaria, dal 2007 opera ora con grande umanità in Ecuador. In India nello stato del Kervala vi sono due missioni: a Palluruthy e a Paravur. Fratel Sandro, insieme ad altri Fratelli, segue le missioni che si occupano di dare assistenza e supporto sia a disabili di qualsiasi età, che agli anziani, anche qui spesso abbandonati nella povertà più assoluta.
Quali sono i movimenti che partono direttamente dall’Italia? Dall’Italia quasi ogni mese partono dei volontari dell’Associazione diretti alle varie missioni. Si tratta di medici, infermieri o anche solo di semplici volontari senza alcuna specializzazione. In questo ultimo caso danno supporto generico al lavoro delle missioni, collaborando dove non è richiesta specifica conoscenza medica o paramedica. Tutti prestano la loro opera in modo totalmente gratuito, facendosi carico anche di tutte le spese di viaggio. L’aiuto dall’Italia, con la raccolta di fondi e con l’invio dei volontari, è essenziale per consentire alle missioni di sviluppare la loro opera umanitaria.
Come si può entrare a far parte di questa Associazione, o semplicemente dare un contributo? Per chi volesse eventualmente iscriversi come volontario, è necessario partecipare a degli incontri e seguire una procedura ben evidenziata sul blog dell’Associazione. Sullo stesso blog sono presenti tutti gli indirizzi e-mail dell’Associazione a cui ci si può rivolgere per approfondimenti.


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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