venerdì 27 aprile 2012

La tenerezza disarmante dei nostri poveri


La piccola Mwendwa ha 4 anni, ed e’ stata ricoverata per convulsioni febbrili causate da una malaria ad alta densita’ di parassiti.
Nonostante la prima dose di chinino endovena fosse gia’ finita, la febbre continuava ad essere altissima, oltre i 40 gradi. Proprio per questo le convulsioni sono continuate per varie ore.
Oltre alle terapie per le crisi comiziali, ho quindi deciso di usare del paracetamolo supposte per abbassare la febbre.
Dovete sapere che la cultura locale guarda con grandissimo sospetto tutte le terapie per via rettale.
Ero vicino a Monicah, la nostra infermiera, quando inseriva la supposta nel sederino di Mwendwa, ed ho visto la faccia preoccupatissima della mamma, che sembrava piu’ spaventata dalla medicina somministrata che dalla condizione patologica.
Pian piano, in parte grazie al chinino ed in parte grazie alle varie terapie di supporto, Mwendwa e’ migliorata: la febbre e’ scesa gradualmente e le crisi si sono arrestate.
Nel solito giro serale in pediatria verso le 22, sono passato a vedere Mwendwa, che era ancora sotto chinino endovena, ma appariva decisamente piu’ vispa e reattiva… soprattutto non aveva avuto altre crisi.
Prima che lasciassi la stanza pero’, la mamma ha radunato tutto il suo coraggio e mi ha chiesto: “ma adesso quando gliela togliete?”
Onestamente io non riuscivo a capire, e, pensando a qualche mia carenza linguistica, ho richiesto l’aiuto dell’infermiera della notte.
Quando tutto mi e’ parso chiaro grazie alle spiegazione di Eunice, sono scoppiato a ridere divertito: la donna infatti chiedeva preoccupata quando avremmo estratto quel pezzo di plastica dal sederino della piccola.
Ci e’ voluto un po’ di tempo a convincerla che si trattava di un farmaco e che si sarebbe sciolto completamente nel corpo della piccola per curare la sua febbre.
Mentre andavo a letto ancora mi veniva da sorridere: a volte i poveri sono cosi’ semplici che ti verrebbe voglia di abbracciarli.
Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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