Idealmente mi collego a quanto scritto
pochi giorni fa circa l’emergenza di ceppi resistenti ai derivati antimalarici
basati sulla artemisina. Intendo gettare un po’ di luce in un’area della nostra
azione clinica dove ci sono molte aree grigie.
1) E’ indubbio che il Ministero
della Sanita’ del Kenya ha ragione quando dice che l’insorgenza dei ceppi
resistenti deriva in gran parte dalle prescrizioni eccessive e
dall’autoprescrizione di farmaci antimalarici. In effetti e’ pratica
diffusissima di mettere un antimalarico a tutti quelli che hanno mal di testa o
febbre, anche senza testare la malaria con la goccia spessa o su un test negativo.
Da questo punto di vista, le linee guida nazionali sono molto chiare per quanto
riguarda i farmaci di prima scelta e cioe’ il COARTEM (derivato basato sull’
artemisina e potenziato con lumefantrina): e’ vietato prescriverli senza un
test antimalarico o in presenza di un esame parassitologico negativo.
2) E’ pero’ necessario tenere
conto che qui in Africa Orientale abbiamo essenzialmente solo Plasmodium
Falciparum, e che tale specie si trova per il 95% della carica infettiva nel
tessuto reticolo-endoteliale, al di fuori del circolo ematico. Solo durante la
fase di colonizzazione e moltiplicazione dei merozoiti nei globuli rossi, il
plasmodio e’ in circolo. Questo implica che, in assenza di test anticorpale
(IFAT) che potrebbe documentare la presenza di anticorpi IgM, la goccia spessa
puo’ essere sovente negativa, anche se il paziente ha una forma grave di
malaria. Ho visto dei pazienti in coma riprendere coscienza rapidamente con
chinino endovena, anche se il test era negativo sin dal principio. Cio’ porta
ad un problema diagnostico notevole: se diamo terapia antimalarica a troppi
pazienti (anche a quelli che magari hanno febbre per altri motivi) noi
provochiamo un danno epidemiologico alla Nazione e contribuiamo all’insorgere
di resistenze. D’altra parte, noi possiamo pure correre il rischio di negare
una terapia antimalarica ad un malato con test negativo, e questi potrebbe
ancora morire di malaria.
3) La soluzione sta nel giudizio
clinico onesto e pertinente del curante: anche se il test antimalarico e’
negativo, noi siamo autorizzati a decidere di iniziare la terapia sulla base di
sintomi altamente suggestivi di malaria ed in presenza di rischi per la
sopravvivenza del paziente.
4) Se una terapia antimalarica e’
gia’ stata instaurata prima della visita del medico, anche se il curante decidesse
che era stata iniziata senza una ragione precisa, e’ meglio non sospendere I
farmaci e concludere il ciclo terapeutico, in quanto la sospensione della
terapia puo’ anch’essa contribuire alla genesi di ulteriori resistenze.
Naturalmente queste sono opinioni del tutto
personali, ma sono supportate da anni di esperienza e di confronto. Questa e’
anche la posizione del Manson’s Tropical Diseases, e della maggior parte dei
miei Professori a Londra.
Fr Beppe Gaido
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