venerdì 11 maggio 2012

James Njagi


E’ un simpaticissimo e sfortunato bimbo di uno sperduto villaggio del Tharaka. Proviene da una famiglia povera e disgraziata nello stesso tempo.
Ci era stato portato a gennaio dalle suore di Mukothima, ed e’ ancora ricoverato tuttora. Era affetto da estesissime ustioni sulla maggior parte del corpo. Lo abbiamo curato con dedizione ed affetto e ci siamo pian piano guadagnati anche il suo sorriso. Molte delle ustioni sono ora guarite anche se rimangono ancora lesioni estese sulla schiena, sulle braccia e sul cuoio capelluto.
La sua situazione familiare e’ veramente miserabile. Suo padre giace su un letto di un ospedale pubblico da gennaio, per una frattura del femore non operata. Il giorno dell’incidente la mamma era andata a far visita al papa’, e, tornando a casa, ha trovato la casa incendiata, uno dei figli morto carbonizzato e James gravemente ustionato.
Questa povera mamma e’ stata da allora ricoverata a Chaaria con questo suo figlioletto e con la sorellina piu’ piccola (li vedete nella foto). Gli altri bambini sono piu’ o meno seguiti da parenti e membri del clan, ma, a quanto sento, fanno una vita miserabile, non vanno a scuola e girano per i villaggi.
E’ chiaro che anche per il lunghissimo ricovero di James attingeremo dai fondi per i poveri e per la pediatria che i volontari ci mandano, perche’ certamente la mamma non potra’ pagare uno scellino.
La settimana prossima chiederemo a Luciano se avesse intenzione di fare un innesto cutaneo, e se il bimbo avesse bisogno di qualche azione chirurgica per correggere una certa tendenza alla contrattura in flessione dell’articolazione dei gomiti.
James e’ stato “coccolato” da molti volontari, e sono certo che le foto pubblicate faranno piacere a molti che sono passati da Chaaria negli ultimi tempi.

Fr Beppe Gaido




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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